Aperto il dibattito su cosa sia diventata oggi l’Arte alla luce del preponderante uso della riproduzione tecnologica e delle sue interferenze in tutte le sue forme, dalla pittura alla fotografia.
Nella sua accezione storicamente e largamente condivisa l’Arte comprende ogni attività umana in grado di stabilire delle connessioni comunicative tra l’artista e la società all’interno della quale l’artista opera.
Parliamo d’Arte quando ci riferiamo alla pittura, alla scultura, alla fotografia, alla bellezza, alla forma, alla conoscenza, al sublime, quando queste diventano, attraverso l’utilizzo di tecniche, delle esperienza estetiche; dal verbo αἰσθάνομαι che significa: “Percepire attraverso la mediazione del senso“.
Ciò che dunque viene messo in discussione è il valore, la qualità, l’autenticità ricercate attraverso delle tecniche specifiche per ogni epoca e cultura e da cui scaturisce il senso e il valore dell’opera d’arte.
Al centro del dibattito che anima la questio, di epoca in epoca, c’è sempre il rapporto arte/teconologia; pensiamo ad esempio all’avvento della fotografia nel’800 o del cinema nel ‘900.
Entrambe le tecnologie sono state al centro di lunghe e animate controversie circa il loro valore artistico.
Anche un critico e teorico dell’arte illuminato come Charles Baudelaire scriverà:
“Se alla fotografia si permetterà di integrare l’Arte in alcune delle sue funzioni, quest’ultima verrà ben presto soppiantata e rovinata da essa, grazie alla sua naturale alleanza con la moltitudine”, frase nella quale viene sintetizzato il pensiero secondo cui l’opera d’arte avrebbe dovuto essere un oggetto unico e irripetibile, assecondando la predominante visione romantica“.
Solo quasi un secolo dopo questa posizione viene superata definitivamente grazie all’opera di Walter Banjamin : “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”
La tesi dell’opera è che l’ausilio di tecnologie che permettono di riprodurre illimitatamente oggetti artistici crei finalmente le premesse per il superamento della concezione idealistica dell’arte, secondo la quale l’opera d’arte è un oggetto unico e irripetibile che trae il suo valore dall’ Hic et Nunc: “Ciò che vien meno è insomma quanto può essere riassunto con la nozione di “aura”; e si può dire: ciò che vien meno nell’epoca della riproducibilità tecnica è l'”aura” dell’opera d’arte“.
La perdita dell’autenticità dell’opera, la perdita dell’aura indotta dalla tecnologia della riproducibilità, secondo Banjamin è auspicabile in quanto permette la ridefinizione della funzione estetica alla luce delle mutate condizioni storiche e alla nascita della società di massa. Tale desacralizzazione dell’opera non ne mina la qualità ma favorisce una maggiore richiesta di beni culturali, democratizzandoli.
Mutatis Mutandis la questione è quanto mai attuale. Immagini digitali, la cosiddetta Computer Art può davvero essere definita arte? Sì.
L’immagine generata da un computer è il risultato di una sintesi che parte da un progetto astratto, manipolato attraverso operazioni computazionali, diventando rappresentazione, dunque forma, comunicazione.
Questa operazione compiuta dal computer in absentia artistae, eredita alcune istanze dal movimento delle avanguardie degli anni ’60 in cui l’atto estetico è frutto di una progettazione intellettuale cui non segue una manipolazione della materia.
La Computer Art, non si differenzierebbe dall’arte visiva tradizionale in quanto produce delle rappresentazioni dinanzi alle quali lo spettatore-fruitore deve contemplare riempiendo di senso le forme date dall’artista.
Oggi in italia pensare, parlare di Arte è un imperativo al quale non dobbiamo sottrarci.
Dalla conoscenza e dalla valutazione delle risorse che da essa promanano dipendono lo sviluppo stesso dell’Arte.
La mancanza di opinioni autorevoli e condivise da parte dei teorici, che non ha precedenti nella storia; lo scarso impegno pubblico negli investimenti; la mancanza di interesse della classe politica e degli italiani che non vedono nei nostri beni culturali un elemento della nostra identità, non ne riconoscono il valore, e ancor prima il suo senso, riducendo la funzione artistica a prodotto, costretto a cercare la propria funzionalità in un impiego di tipo pratico-economico. Decretando la morte del piacere estetico.