Il nostro è uno Stato biscazziere. Con l’abolizione dell’IMU ha costretto i contribuenti italiani al cosiddetto “gioco delle tre carte”. La regola base è sempre la stessa, non illudiamoci: deve vincere sempre il banco.
Ma andiamo per ordine. Il governo Monti aveva introdotto l’IMU e aveva decretato l’aumento dell’aliquota dell’IVA di un punto percentuale, dal 21 al 22%. Durante la campagna elettorale e nel programma del Governo Letta, i partiti hanno preso l’impegno di abolire l’IMU e ed evitare l’aumento dell’IVA. Ovviamente, il problema è lo stesso, da sempre: le coperture, cioè reperire, in un regime che consente pochi margini di manovra a causa della necessità di rispettare i vincoli di bilancio imposti dall’Europa, le risorse economiche necessarie per la realizzazione di queste misure. Si è iniziato con la tecnica dei rinvii delle rate IMU e dell’IVA, prima ad agosto e poi a settembre. Ora che altri rinvii sarebbero impossibili, sembra che per l’abolizione IMU 2013 una parte della copertura sia stata trovata da un extra gettito IVA derivante da un anticipo di una nuova tranche da 10 miliardi di pagamenti arretrati della pubblica amministrazione, mentre un altro pezzo di copertura verrebbe dalla sistemazione di una sanatoria sul contenzioso contabile relativo alle nuove slot. Per l’IVA si è ancora nella fase tipica della nebbia fitta in Val padana.
Su questo aspetto è emerso il vero tallone d’Achille delle grandi intese, cioè il rischio che si tenti di trascurare le vere esigenze del Paese nel tentativo di rivendicare riforme che accontentino il proprio elettorato, trascurando gli interessi generali. Quindi, non riforme strutturali, ma delle bandiere da sventolare al proprio elettorato. E non può che essere così. La nostra economia non permette alcun margine di manovra in alcun senso. Ciò che si taglia da una parte deve essere drenato da un’altra parte. La “coperta” complessiva non cambia, è sempre troppo corta, e quella di avere meno freddo da una parte si rivela un’illusione ben presto, quando si scopre un’altra parte congelata.
Sicuramente, l’abolizione dell’IMU è stata una battaglia condotta con forza dal PDL, perché è una misura che soddisfa soprattutto le fasce più ricche della nostra società, mentre sull’IVA è forte la presa di posizione del PD, che proprio ieri con il segretario Epifani ha voluto chiarire che l’aumento di un punto percentuale è da evitare, perché colpisce le fasce più povere.
Questo braccio di ferro avviene in un momento in cui il premier Letta, illustrando al presidente Napolitano il DEF (Documento di economia e finanza), gli ha notificato la salita (al 3,1%) del rapporto deficit/pil (sforato il limite del 3% fissato dalla Ue), soprattutto a causa dell’instabilità politica degli ultimi mesi, sconfessando la stessa ragion d’essere del suo governo, nato, si diceva, per evitare di ritrovarsi in questo tipo di situazioni. Anche in questo il finale della favoLetta è sempre lo stesso: manovra correttiva con tanto di ringraziamento da parte dei contribuenti italiani, che nelle vicende giudiziarie di Berlusconi o nelle lotte intestine del PD c’entrano poco quanto niente. Ma c’è di più. Il presidente dell’Anci, Fassino, avverte che senza compensazioni statali, a seguito dell’abolizione dell’IMU, molti comuni non sono nemmeno in grado di garantire il pagamento degli stipendi ai dipendenti, mentre il ministro dell’Economia Saccomanni denuncia il fatto che le scelte in materia fiscale vengono prese, non guardando al bene del Paese, ma per soddisfare le richieste dell’una o dell’altra parte politica. Pazienza se poi si debba ricorrere a trucchetti da bari per raggiungere l’obiettivo del 3% così come richiesto dall’Europa. Tassa vince tassa perde, da dove escono stavolta i soldi?
Per rispondere a questa domanda si è messa al lavoro in maniera solerte una squadra di professori e professionisti del Ministero dell’Economia e dal Gotha in materia tributaria è partorito un documento leggibile sul sito del Mef nel quale si spiega in maniera chiara come si è risolto il problema, sempre nel rispetto del principio che lo Stato biscazziere deve vincere sempre.
Abolita l’IMU, la si dovrà sostituire con un’altra tassa, la Service Tax, che dal 2014 scalzerà la neonata Tares, (la quale non fa nemmeno in tempo a concludere la fase di rodaggio che già viene rimpiazzata) e si comporrà di due parti: la Taser che farà riferimento alla gestione dei rifiuti urbani con aliquote calcolate in base alla superficie degli immobili; e la Tari che coprirà i servizi indivisibili e che questa volta saranno a carico sia del proprietario degli immobili che degli inquilini. Ed è proprio qui che si nasconde l’IMU, che dicono di aver abolito, ma solo ai fini elettorali. Non si paga l’IMU come proprietari, ma si paga la Service Tax come “occupanti”, nel senso che si occupa, cioè si abita, la propria casa. Cambio di nome, cambio di norma. Altra congettura, sulle seconde case stavolta: poniamo il caso di un immobile posseduto come seconda casa e affittato: ebbene, lo Stato drenerà denaro dal proprietario, che pagherà l’IMU come seconda casa, e dall’affittuario che, se ha un contratto regolarmente registrato, pagherà la Service Tax come “occupante” dell’immobile. I soldi che usciranno dalle tasche degli Italiani, tanto per cambiare, saranno gli stessi se non di più, perché la Service Tax ha la funzione di “spalmare” su tutti i cittadini, non solo sui proprietari, il costo della tassa sugli immobili.
Tirando le somme, questo abile “gioco delle tre carte” offerto dal Governo Letta non fa altro che spostare e rinominare quelle che sono, alla fine, le stesse risorse di sempre da cui attingere, ovvero le tasche degli Italiani.