Arriva da Parigi un nuovo caso di violenza domestica ai danni una donna. L’ex difensore della Juventus Lilliam Thuram è stato denunciato dalla compagna Karine Le Marchand per maltrattamenti. Secondo quanto raccontato dalla donna, sarebbe stata afferrata per i capelli e spinta più volte contro il frigorifero. Come dichiarato dall’avvocato del giocatore e riportato su “Le Parisienne”, la denuncia è stata però in seguito ritirata.
Non è un caso isolato, purtroppo, quello di questa donna. La cronaca nazionale e internazionale negli ultimi tempi è una lista interminabile di storie spaventose. Storie di donne picchiate o uccise da padri, compagni, ex compagni, mariti, ex mariti, corteggiatori rifiutati o che non riescono ad accettare che la donna possa avere una sua autonomia e non essere d’accordo con le loro decisioni. Donne che pagano spesso con la vita la volontà di decidere della loro esistenza senza dover subire decisioni imposte dagli uomini.
In tutto il mondo la situazione della donna sembra essere nettamente peggiorata e sembra che la donna sia stata ridotta ad un mero oggetto nelle mani di questi uomini. Incapaci di accettare l’idea che le donne siano soggetti autonomi padroni delle proprie vite, incapaci di accettare l’idea che il loro “potere” venga messo in discussione, di perdere quel poco di forza hanno. Gli stereotipi sono duri a morire, e quelli che vogliono l’uomo forte tanto da imporre la sua volontà e ottenere sempre quello che vuole ad ogni costo e la donna remissiva che obbedisce agli ordini del “sesso forte” non fa certo eccezione.
La Convenzione di Istanbul, firmata dall’Italia dall’allora ministro Elsa Fornero nel settembre scorso a Strasburgo e ratificata nei mesi scorsi all’unanimità da Camera e Senato, imponeva di affrontare il fenomeno antico della violenza sulle donne in termini di problema culturale e di approvare misure strutturali e non solo repressive per contrastare il triste e inaccettabile fenomeno.
Il fenomeno del femminicidio è ancora considerato, invece, nello stesso D.L. n. 93 del 14 agosto 2013 recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 agosto 2013, come un problema di ordine pubblico e non di carattere culturale. Come si evince anche dalla scelta del Governo di inserire le misure contro il femminicidio in un pacchetto sicurezza. Cosa che rende inefficaci i provvedimenti adottati, mancando questi di una organicità che permetta non solo la repressione ma anche la prevenzione del fenomeno.
Sebbene il decreto presenti dei punti interessanti come l’aggravante nel caso in cui le violenze siano perpetrate in presenza di minori o l’obbligo di arresto in flagranza di reato, restano da chiarire (e modificare) diverse criticità. Nel decreto infatti non si affronta il problema della protezione delle vittime e del finanziamento ai centri antiviolenza. L’Italia offre cinquecento posti letto nelle strutture protette a fronte dei cinquemilasettecento previsti dalle direttive europee. Inoltre, i centri antiviolenza sono spesso soggetti ad atti intimidatori come accaduto a Firenze, dove il centro “Artemisia” è stato più volte dato alle fiamme. Se vittima e persecutore convivono sotto lo stesso tetto, il rischio di minacce e ritorsioni in caso di violenza è logicamente molto alto.
Non si affronta il problema della formazione del personale di polizia e magistratura. Non si affronta nemmeno il problema della presa in carico dei cosiddetti “maltrattanti”, degli uomini autori di queste violenze ai quali devono essere offerti percorsi per il recupero. Il decreto prevede anche l’obbligatorietà dell’azione penale e toglie le possibilità di ritirare la denuncia da parte delle donne che decidono di svincolarsi dalle relazioni malate e pericolose.