Già fanalino di coda in Europa per la crescita, l’Italia nel 2013 è stata superata persino dal Rwanda nell’International Property Rights Index, cioè l’Indice internazionale sui diritti di proprietà (IPRI), di cui si è discusso ieri a Washington.
L’IPRI, realizzato dalla Property Rights Alliance (su indicazioni del gruppo legale Americans for Tax Reform) al cui interno l’Italia è rappresentata dal gruppo Competere.eu, misura come viene tutelata la proprietà in 131 Paesi, che da soli rappresentano il 98% del PIL globale e il 93% della popolazione. In questa speciale classifica l’Italia si colloca al 47esimo posto con un punteggio di 6,1 (la scala va da 0 a 10). Ai primi posti troviamo i Paesi scandinavi (Finlandia 8,6), in fondo lo Yemen (3,1).
Ma quali sono i dati che permettono di stilare questa classifica? Il punteggio di 6,1 viene fuori dalla media tra tre fattori: l’ambiente giuridico-politico (stabilità politica, corruzione) e qui per l’Italia i dati sono sconfortanti: 51esimo posto con il punteggio di 5,6; il secondo è dato dalla disciplina che regolamenta il diritto di proprietà fisica e qui l’Italia si colloca addirittura al 64esimo posto con il punteggio di 6,1; infine, il terzo indicatore, dato dalla tutela della proprietà intellettuale, che vede l’Italia al 31esimo posto con 6,6.
La rilevanza di questi dati risiede nella correlazione tra un regime di tutela della proprietà e la crescita dell’economia. Più è alto l’IPRI, in buona sostanza, più aumentano il reddito pro capite, il PIL, ma soprattutto gli investimenti esteri. La difesa dei diritti di proprietà fisica ed intellettuale va di pari passo con la libertà economica e la capacità di sviluppo di un Paese. Non è un caso che interi settori della nostra Nazione, come l’agroalimentare, design e moda, subiscano duri colpi dalla contraffazione internazionale. Quindi, ancora brutte notizie per le piccole e medie imprese e per le start up nazionali. Non solo il nostro tessuto impreditoriale è sempre più a rischio, perchè non si ritiene più conveniente investire nel rinnovamento, ma così si espongono i consumatori al pericolo di acquisti inconsapevoli di merce contraffatta.
Non può che destare stupore, in base alle risultanze di questi dati, la scelta del Governo italiano di non aderire al Sistema europeo del brevetto unitario. Il rischio è quello di tagliare fuori il Paese dalla competizione globale.