Di lei si è detto e scritto di tutto. Una voce unica, potente, incredibile, che ha smesso di cantare troppo presto sotto il peso di una vita dissoluta fatta di eccessi, alcol e droghe. Ma chi era veramente Amy Winehouse? Chi era la donna dietro quell’immagine di persona fragile e problematica dipinta dai media? La risposta è in una mostra inaugurata quest’oggi a Londra dal titolo “Amy Winehouse: ritratto di famiglia”, ospitata fino al 15 settembre dal Museo Ebraico di Camden Town, il quartiere tanto amato, il luogo più giusto per raccontare la vita pubblica e privata di questa talentuosa icona, proprio nell’anno in cui avrebbe festeggiato il suo trentesimo compleanno.
Un viaggio a ritroso nei 27 anni di un’artista straordinaria attraverso memorabilia ed i suoi effetti più personali, per riscoprirne la vera essenza al di là dell’immagine pubblica che noi tutti conosciamo.
Nella mostra, curata da Liz Selby con il prezioso aiuto del fratello di Amy, Alex, si potranno ammirare la sua prima chitarra, la divisa scolastica, i pass degli eventi a cui partecipava (incluso quello del Festivalbar 2004 a Catania), la sua collezione di dischi e i libri che amava leggere, tra cui quello di Snoopy che la Winehouse rubò al fratellino quando erano più piccoli, foto inedite riguardanti l’adolescenza e la vita famigliare di Amy stipate in una vecchia valigia. “Nei giorni precedenti alla sua morte guardava spesso questa raccolta”, spiega la didascalia scritta dal fratello maggiore di Amy, una delle tante che accompagnano gli oggetti esposti. Tra i pezzi forti c’è un libro di cucina ebraica regalatole dal fratello nel 2002, quando si era fissata di voler imparare a cucinare una zuppa di pollo. Non mancano le scarpe dai tacchi vertiginosi e gli abiti indossati durante i concerti, uno dei cinque Grammy vinti durante la sua breve carriera.
“Voglio essere ricordata come un’attrice, una cantante, per i concerti sold out […] e per essere… semplicemente me”, scriveva nella sua domanda di ammissione alla Sylvia Young Theatre School. E in effetti, attraverso questi oggetti possiamo ricordare Amy proprio nel modo in cui lei avrebbe voluto. Si lascia la mostra con la sensazione di averla conosciuta meglio e per quello che era davvero, ma con il rimpianto di ciò che poteva ancora essere, e non sarà più.