Candidato discriminato perchè uomo? Pasticcio “quote rosa” per il PD a Bologna

Si chiamerebbero “quote di genere” ma tutti ormai le conoscono come “quote rosa” (in quanto dirette principalmente a favorire le donne) e rappresentano un istituto molto discusso e dagli esiti imprevedibili. A distanza di qualche giorno dalla conclusione delle primarie per i candidati democratici alle politiche, infatti, non si è ancora placata del tutto la polemica che ha visto contrapposti il presidente dell’associazione delle vittime della strage di Bologna, Paolo Bolognesi, e l’ex portavoce di Romano Prodi, Sandra Zampa, entrambi candidati in provincia di Bologna.

Il problema è derivato dal complesso meccanismo elettorale allestito dalla dirigenza del Partito Democratico: prima la “doppia preferenza di genere” che permetteva agli elettori due scelte, purché attribuite a candidati di sesso diverso, e poi “l’alternanza di genere” nella composizione e ordinamento delle liste, mescolando gli esiti delle candidature di maschi da un lato e femmine dall’altro.

Ecco quindi che al termine dello scrutinio, la candidata Zampa aveva ottenuto più voti di Bolognesi (5.715 contro 4.392) ma era scivolata fuori dai sette posti disponibili, penalizzata proprio dall’alternanza uomo-donna nelle liste, e pur essendo la sesta in assoluto per numero di voti risultava all’ottavo posto, in quanto quarta tra le donne e superata da due uomini,  Sergio Lo Giudice e lo stesso Bolognesi, appunto, che si sono aggiudicati il posto da “eleggibile alle politiche” pur avendo ottenuto meno voti di lei.

Era partita immediatamente una infuocata querelle, con minacce di ricorsi ed i due che si fronteggiavano portando opposte argomentazioni: la Zampa si appellava alla “giustizia” in termini di voti ricevuti, mentre Bolognesi semplicemente richiamava l’applicazione del regolamento, che proprio le donne del partito avevano caldeggiato.

La direzione regionale del PD ha infine deciso di assegnare la posizione “eleggibile” alla donna, e dal nazionale è arrivata una nota di precisazione: “Nella composizione delle liste si terrà conto dei risultati delle primarie in termini di voti assoluti espressi dagli elettori; il riequilibrio di genere si utilizzerà soltanto per quei territori laddove il rapporto risulti sproporzionato, verso un genere piuttosto che un altro. A Bologna nei primi sette posti ci sono quattro donne e tre uomini, dunque non c’è necessità di riequilibrio”.

Fortunatamente, si vocifera già che la situazione di Bolognesi sia destinata ad una sorta di “regolarizzazione”, un vero e proprio ripescaggio con l’inserimento nel “listino” di candidati “bloccati”, selezionati direttamente dal segretario Pierluigi Bersani.

Insomma alla fine il regolamento che doveva favorire le donne e invece ha favorito gli uomini è stato scavalcato dal “decidiamo noi”, e le quote “di genere” son divenute proprio “rosa shocking”. Ma cosa sarebbe successo se la situazione fosse stata a ruoli invertiti? Il candidato uomo sarebbe stato comunque imposto d’autorità?
Votando massicciamente una candidata (evidentemente per il suo “appeal” nei loro confronti) gli elettori hanno dimostrato di essere già più “avanti” delle preoccupazioni e dei pasticci di apparati ancora appesantiti da anacronismi ed ideologie vecchie e nuove. Se il sesso di appartenenza diventa un “valore” invece che una semplice caratteristica, la meritocrazia che fine fa?

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