Diciotto mesi di carcere, più le spese processuali: questa la condanna inflitta a Paolo Gabriele dal Tribunale del Vaticano. L’ex maggiordomo del Papa è stata ritenuto colpevole del furto aggravato di documenti riservati alla Santa Sede, pubblicati poi sui quotidiani italiani e nel libro ‘Sua Santità’ (Vatileaks) di Gianluigi Nuzzi: la richiesta di tre anni di reclusione formulata dall’accusa è stata ridotta a 18 mesi per il riconoscimento delle attenuanti.
Per Gabriele ora potrebbero aprirsi le porte di un carcere italiano, visto che in Vaticano non c’è un penitenziario: per evitare di finire dietro una cella, l’ex maggiordomo pontificio deve sperare in una grazie concessa dal Papa.
Un processo lampo quello a cui è stato sottoposto il ‘Corvo’, iniziato sabato scorso e durato appena una settimana. “La cosa che sento forte dentro di me è la convinzione di aver agito per esclusivo, direi viscerale, amore per la Chiesa di Cristo e per il suo capo visibile. E se lo devo ripetere non mi sento un ladro”: queste le parole pronunciate prima della sentenza da Gabriele, quando il presidente del tribunale Giuseppe Dalla Torre gli ha posto la domanda “si dichiara colpevole o innocente?”.
La condanna non chiude però definitivamente il caso ‘Vatileaks’: molte le questioni che restano in sospeso dopo il termine del processo, a partire dalla posizione dell’altro imputato, il tecnico informatico della segreteria di Stato Claudio Sciarpelletti, la cui posizione è stata stralciata nel corso della prima udienza. Inoltre sono rimasti fuori dalle carte processuali tutti gli altri possibili capi d’imputazione che poteva essere accollati a Gabriele, come il vilipendio alle istituzioni dello Stato, la diffamazione e la violazione dei segreti.