Si mettono di male in peggio le cose per il PDL. La batosta clamorosa alle elezioni amministrative non ha insegnato nulla al partito dell’ex premier, che da un lato ha minimizzato il dato, parlando di una sconfitta che riguardava tutti, dall’altro ha continuato imperterrito in un caos dilaniante, che ha finito per mantenere intatti tutti i vertici locali e nazionali del partito. La sensazione che hanno avuto gli elettori è stata che anche di fronte al tracollo, il PDL non ha mai il coraggio e la dignità di cacciare anche solo uno dei suoi dirigenti al vertice. Si parla di tutto dentro al partito, fuorché di mandare a casa chi sbaglia, chi non azzecca le scelte, chi porta discredito. E il risultato è a dir poco imbarazzante per una formazione a vocazione maggioritaria, che solo quattro anni fa trionfava alle elezioni con oltre il 37% dei consensi.
A dare il polso della situazione ci pensano due sondaggi, che confermano lo stato moribondo di un partito mai nato. Secondo Demopolis, se si votasse oggi, il PDL avrebbe il 17%, mentre la Lega scenderebbe sotto il 5%. L’UDC sarebbe stabile all’8%, in sostanza non mostrando alcuna capacità di agganciare qualche voto in uscita dal centrodestra. Il PD sarebbe primo partito con il 25% dei voti, mentre il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo farebbe il botto con il 16%.
Un altro sondaggio è quello che settimanalmente viene realizzato per il Tg La7 di Enrico Mentana. Anche in questo caso, i dati sarebbero grosso modo simili. Il PD sempre primo partito con il 25%, mentre il PDL crollerebbe al 18,1%, la stessa e identica percentuale ottenuta da Grillo. E il 36% degli elettori non andrebbe a votare (sarebbero il 30% per Demopolis), mentre il 21% non saprebbe chi votare. Insomma, Grillo avrebbe in teoria ancora praterie davanti a sé, se è vero che secondo il primo sondaggio, il suo M5S arriverebbe fino a un potenziale 27%. Più di un italiano su quattro sarebbe disposto a votarlo. Fino a un mese fa, era al 3%.
Com’è possibile che il principale partito di governo fino a novembre e che tutt’ora rappresenta una delle tre gambe dell’attuale esecutivo otterrebbe gli stessi voti di un movimento nato davvero dal nulla e inesistente nel dibattito politico fino a qualche settimana fa?
La risposta non è complicata, è semplicissima: gli elettori bocciano oggi tutta la classe dirigente della Seconda Repubblica, ma sta punendo in modo particolare e pesante un PDL che ha tradito la base, votando tutte le misure fiscali volute dal governo Monti e non dimostrando alcuna sensibilità, rispetto ai disastri elettorali in giro per l’Italia, confermando le stesse facce ovunque. A forza di non cacciare nessuno dai vertici, gli elettori stanno cacciando il PDL dal Parlamento.
Oggi, il partito dell’ex premier prenderebbe molto meno di quanto la sola Forza Italia riusciva a prendere fino alle elezioni del 2006 e poco più di quanto gli ex An raccoglievano da soli. Una sconfitta enorme, che pone l’accento sull’incapacità delle due ex formazioni di dare vita a un partito serio, aperto, condiviso, ma che è stato fin troppo tenuto serrato verso l’esterno, non mostrando alcuna capacità di rinnovamento nella classe dirigente o almeno non secondo criteri trasparenti e democratici.
Ma fino a novembre, il carisma del leader ha fatto da copertura per le evidenti crepe e mancanze dei vertici di ogni livello, esplose con ogni evidenza il giorno successivo alle dimissioni del governo. Chi pensava (erroneamente) che il partito avrebbe potuto esprimere una vita autonoma, rispetto all’unico reale intercettore di consensi nel Paese si è sbagliato molto di grosso.
Eppure, lo stesso Silvio Berlusconi ha commesso un errore molto grave, quando ha pensato alla sua successione. Ha scelto un Angelino Alfano, che sarà pure un giovane viso della Seconda Repubblica, ma ha dimostrato tutta la cultura democristiana (nel senso deteriore) di cui è impregnato, a partire dalla sua immobile Sicilia, dove non è stato minimamente in grado di intercettare il dissenso profondo della base, quando già da anni la regione più azzurra d’Italia è stata trasformata in un campo di battaglia tra fazioni opposte, senza che Angelino sia riuscito ad assestare al partito quel minimo di credibilità e di stabilità di cui avrebbe bisogno. E ciò, per non sconfessare troppo le anime vetero-democristiane, che si annidano come corvi dentro al partito, in Sicilia come nel resto d’Italia.
Berlusconi non ha mai amato i democristiani, con il paradosso di averne avallato uno alla successione. Alfano sta facendo del PDL nazionale, quanto già i suoi uomini sono riusciti a fare di quello siciliano: lo sta riducendo ai minimi termini di consenso elettorale, proteggendo la fazione dc e scontentando qualsiasi altra anima interna. Non ha le capacità del leader e di questo se n’era accorto lo stesso Berlusconi, quando lo definì senza un “quid”.
Adesso, se davvero l’ex premier ha a cuore l’interesse dei moderati italiani e se davvero ha compreso che esso non coincide con l’interesse dell’ala dc, entusiasmata solo dalla visione di qualche poltrona, si sbarazzi in fretta e in furia dei vertici nazionali e locali del suo partito e non faccia l’errore di adottare la tecnica del casting, per creare una nuova classe dirigente. L’alternativa ai vetero-democristiani esiste, ma non è il Grande Fratello.