C’è attesa sui mercati per le prossime decisioni di politica monetaria che potrebbero essere presto adottate dalla BCE. Se ancora non s’intravede nemmeno da lontano una posizione condivisa tra gli stati nazionali dell’Eurozona su come risolvere la crisi dei debiti sovrani, ecco che molti analisti e operatori di mercato scommettono su un ennesimo intervento del governatore centrale Mario Draghi. A tale proposito, una prima attesa vi è per il board di domani, quando la BCE si riunirà come ogni mese, per decidere quale misura adottare sui tassi di riferimento, avendo tre opzioni possibili: aumentarli, lasciarli invariati o diminuirli. Esclusa a priori la prima possibilità, la scelta di domani sarà tutta imperniata sulle ultime due opzioni. Ora, se il buon senso dovrebbe suggerire che la scelta saggia sarebbe di lasciare i tassi ai loro già livelli minimi di sempre, ossia all’1%, molti ritengono, invece, che domani Draghi potrebbe annunciare il taglio dei tassi, magari portandoli allo 0,75% o tagliandoli più decisamente a o,50%.
Ma non è tutto. Si vocifera che la BCE potrebbe annunciare una nuova asta Ltro (Long Term Refinancing Operation), dopo le prime due già effettuate a fine dicembre e a fine novembre e che sono consistite nell’erogare oltre mille miliardi di euro alle banche, sotto forma di finanziamenti fino a tre anni e al tasso dell’1%.
Tuttavia, pare che tale annuncio non sarebbe effettuato prima di verificare cosa accadrà al vertice di fine giugno tra i capi di stato e di governo europei. Se ne riparlerebbe, insomma, tra quasi un mese, sebbene non sia detto che possa essere anticipato. Ma nell’uno, così come nell’altro caso, la decisione di Draghi non sarà una scelta solitaria, né facile. I tedeschi, in particolare, osteggiano sia l’una che l’altra soluzione, perché temono che un abbassamento dei tassi possa comportare un aumento dell’inflazione, mentre una terza Ltro esacerberebbe il legame vizioso tra debiti sovrani e bilanci delle banche.
Ovviamente, la decisione sui tassi sarà adottata a maggioranza, per cui il solo componente tedesco, Joerg Asmussen, da solo non potrebbe avere un effetto-veto. Ma siamo sicuri che la soluzione alla crisi europea sia di portare i tassi dall’1% allo zero? Se è vero che nelle economie semi-periferiche dell’Eurozona c’è un problema di liquidità, esso non è certamente dato dal fatto che i tassi siano alti. Il problema è che le banche non erogano credito, in quanto preoccupate a risanare i loro bilanci, riversando sull’economia reale le loro difficoltà.
Il pericolo di un ulteriore abbassamento dei tassi, invece, sarebbe l’impennata dell’inflazione, già oggi a livelli di gran lunga superiori in Italia alla crescita media delle retribuzioni. Meno potere d’acquisto implica minore capacità di consumo e ancora crisi.
Altro punto delicato è la questione delle aste Ltro. Esse hanno portato la BCE a prestare denaro alle banche europee a bassissimo costo, ma senza che poi questo denaro sia andato a finire a beneficio dell’economia, ossia imprese e famiglie. Al contrario, oltre mille miliardi sono stati utilizzati per abbellire i bilanci e per fare pura finanza, acquistando bond pubblici a rendimenti più alti e lucrando sul differenziale.
Ora, si potrebbe dire giustamente che senza tali aste la situazione sarebbe potuta essere pure peggiore, perché per alcune settimane l’Italia ha effettivamente beneficiato della corsa all’acquisto di BoT e BTp, necessari per presentare a Francoforte un collaterale di garanzia, al fine di ottenere i prestiti.
Ma questa soluzione non solo è di cortissimo respiro, come abbiamo visto dopo la seconda asta di fine febbraio, con lo spread BTp-Bund risalito ai livelli di inizio anno, ma addirittura rischia di aggravare il rapporto viziato tra i debiti pubblici e i bilanci delle banche. Queste aumentano la loro esposizione verso i bond a rischio, i quali, per effetto della crisi di fiducia nell’Eurozona, si svalutano e si ripercuotono negativamente sul capitale degli istituti. A loro volta, essendo sotto-capitalizzati, questi sono costretti a reperire nuovi capitali sul mercato, aumentando la concorrenza con i bond pubblici, oppure a ricorrere agli aiuti pubblici, come in Spagna, aggravando maggiormente il bilancio dello stato.
Il vero nodo, quindi, resta come fare tornare la fiducia nei nostri bond, che non potrà essere “fabbricata” con nuova liquidità in circolazione o con tassi zero. Draghi sembra non avere capito la lezione di questi mesi e a sua discolpa può vantare solo il fatto che i tedeschi gli impediscono l’acquisto diretto di titoli di stato, che sarebbe la vera alternativa alla mostruosità dei prestiti a buonissimo mercato per le banche.
A poco servirebbero, invece, le argomentazioni di chi oggi pretende che l’abbassamento dei tassi sia doveroso, dopo che la Reserve Bank in Australia li ha abbassati dal 3,75% al 3,5%. Resta il fatto che essi si attestano 3 volte e mezzo sopra quelli nostri attuali, mentre la stessa America di Obama-Bernanke, pur godendo da oltre 3 anni di tassi zero e avendo annunciato di mantenerli tali fino almeno l’anno prossimo, non pare abbia fatto grandi passi avanti nella crescita.