Ad appena un mese dalla vittoria di François Hollande alle elezioni presidenziali del 6 maggio e a meno di tre settimane dal suo insediamento, è già tempo di fare un bilancio a caldo per i francesi. Stando a una rilevazione dell’istituto BVA, i primi giorni da presidente sarebbero stati accolti molto favorevolmente dagli elettori, con il 62% a dichiararsi “piuttosto soddisfatto” e solo il 34% “piuttosto insoddisfatto” delle prime mosse di Hollande. Non saranno passati inosservati i tagli allo stipendio che il nuovo presidente ha introdotto per sé e i suoi ministri e pari al 30%. Si dirà che si tratta di demagogia e, invece, è stato un segnale di sobrietà e di vicinanza ai sacrifici che pure i francesi saranno costretti a fare, per arginare la crisi. E proprio la sobrietà è stata la bandiera di un altrimenti insipido Hollande, se si pensa che il suo predecessore si era aumentato in cinque anni lo stipendio del 170%. Un altro mondo, diremmo.
Ma non c’è tempo per dormire sui primi allori, perché già domenica prossima il neo-presidente sarà alle prese con il suo primo test politico, che in verità sarà più la fotografia di come stanno messi realmente i partiti, indipendentemente dalla fine che hanno fatto i loro leader.
Ebbene, pare che i socialisti siano avvantaggiati anche alle elezioni legislative, per quanto il discorso dipenda essenzialmente dal metro con cui le si giudicheranno. Sempre stando a BVA, ma CSA da un risultato molto simile, i socialisti sarebbero in testa con il 33% dei consensi, contro il 32% dell’Ump, il partito neo-gollista che fu di Sarkozy fino al mese scorso. In poche parole, i due maggiori partiti sarebbero esattamente alla pari, ma il quadro delle alleanze scombussolerebbe i risultati. Infatti, i socialisti potrebbero attingere al bottino dei voti del Fronte della Sinistra, dato intorno al 9-10% e a quello degli ecologisti, intorno al 4-5%. Viceversa, i neo-gollisti non avrebbero alcun alleato, malgrado alla loro destra esista un partito molto forte, che i sondaggi continuano a dare stabile al 16%. E’ il Fronte Nazionale di Marine Le Pen.
Per effetto di questa asimmetria elettorale, la coalizione della sinistra otterrebbe intorno al 47% complessivo dei consensi, mentre il centro-destra si presenterebbe diviso e complessivamente, pur raggiungendo non meno del 48%, non dovrebbe riuscire ad imporsi sugli avversari.
La lezione è, dunque, anche per gli italiani, che divisi si perde. La sinistra francese lo ha capito, dopo anni di rovinose sconfitte che avevano dato l’impressione che la gauche fosse definitivamente morta. Al contrario, cinque anni di Sarkozy e dei suoi errori l’hanno ravvivata, con il rischio che ora entri in catalessi la destra transalpina, che non mostra la capacità di compattarsi, nemmeno dinnanzi a una legge elettorale, che punisce fortemente le divisioni.
Quella del 10 giugno sarà la prima tornata, perché una settimana dopo ci saranno i ballottaggi nei singoli collegi dove nessun candidato avrà ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validi e dove approderanno i candidati che al primo turno avranno ottenuto almeno il 12,5%. In molti collegi, potrebbe essere necessario per i neo-gollisti ricercare i voti dei frontisti esclusi dal ballottaggio, ma per via di un’esclusione aprioristica di qualsiasi intesa, tra le due formazioni non esiste nemmeno la possibilità di parlare di accordo.
Certo, dopo l’addio di Sarkozy potrebbe essere possibile la ricerca di un’intesa, ma i neo-gollisti tremerebbero all’ipotesi ventilata da uno dei massimi dirigenti del Fronte Nazionale, Bruno Gollnisch, che vi sia una “lista nera” di candidati Ump da affondare. L’obiettivo di Le Pen è di accreditarsi come forza politica principale della destra francese, magari approfittando del momentaneo sbandamento degli elettori gollisti, dopo una sconfitta così bruciante, che arriva 17 anni dopo l’ultima presidenza socialista di Mitterand.
Dal canto suo, Hollande non potrà permettersi di non vincere. Senza una maggioranza all’Assemblea Nazionale, perderebbe il governo, che anche qui gode della fiducia alla Camera bassa. E senza un premier socialista, svanirebbe la possibilità di dare seguito al programma proposto agli elettori e per il quale ha ottenuto la presidenza.
Dietro l’angolo, esiste il rischio di paralisi istituzionale, che si ebbe con la coabitazione tra il gollista Jacques Chirac e il socialista Lionel Jospin, tra il 1997 e il 2002, quando la Francia visse uno dei momenti meno brillanti della sua recente storia politica ed economica.
Oltre tutto, perdere le politiche dopo avere conquistato solo il mese prima l’Eliseo significherebbe per i socialisti avere la conferma di avere vinto non tanto sulla destra, quanto sulla figura poco simpatica di Nicolas Sarkozy, poco stimato ed amato pure tra i suoi elettori.
Ma stando non solo ai sondaggi, bensì pure alla sensazione generale, i socialisti dovrebbero farcela e tornerebbero maggioranza, dopo avere vinto l’ultima volta nel lontano 1997. Dalla loro, oltre alle divisioni degli avversari, possono vantare anche la politica di autonomia che in queste settimane Hollande sta mostrando rispetto ai tedeschi. E i francesi, si sa, non amano essere sotto l’egida di alcuna potenza straniera e meno che mai di quella tedesca.