Ieri, il presidente Giorgio Napolitano è stato categorico: “sarebbe una sciagura se i cittadini fuggissero dalla politica”. Parole, forse, fin troppo ovvie. Peccato che a pronunciarle sia lo stesso capo dello stato, che appena sei mesi e mezzo fa rottamava la politica, per sostituirla con i tecnici. Si dirà con un’ottima dose di ragione che la politica era ed è inconcludente, assolutamente priva di sensibilità verso la gente comune, distante dalle sue istanze e allo stesso tempo nemmeno radicata tra di essa. Tutto vero. Infatti, la gente non a caso fugge da “questa” politica. E non essendoci alcuna alternativa reale, tale fuga si traduce nell’astensione dal voto e nella critica indistinta a tutti i partiti e a tutte le istituzioni.
Va di moda, adesso, dinnanzi al fenomeno Grillo, sostenere che la vera anti-politica sia la cattiva politica. Ed è vero. Peccato ancora una volta che lo dicano tutti, ma siano poi gli stessi a perseverare diabolicamente nella cattiva, cattivissima politica.
Perché mai un cittadino comune dovrebbe andare a votare, quando “tutti” i partiti che si troverebbe sulla scheda elettorale non sono credibili? L’astensione dal voto è un fenomeno negativo, preoccupante, quando il cittadino rinuncia, per qualsiasi ragione, a esprimere il suo punto di vista, pur in presenza di scelte politiche serie e contrapposte. Ma se c’è più che una semplice sensazione che la contrapposizione non esista, almeno non sulle cose serie e che interessano la gente in carne e ossa; se si ritiene che tutti i partiti siano affetti dallo stesso male della corruzione, dell’inconcludenza, della distanza dal cittadino, della cooptazione, della mancanza di competenza, allora il non voto non solo non è un fatto negativo, ma al contrario esso rappresenta la forma migliore di espressione della propria protesta personale. Una goccia, che diventa mare, quando le percentuali di chi rinuncia a recarsi ai seggi raggiungono cifre notevoli.
D’altronde, se tutti, malgrado l’enorme insofferenza verso i partiti, andassero a votare tra X e Y, alla fine, quegli stessi partiti avrebbero la conferma formale che in fondo si tratti solo di un’esagerazione mediatica, che sostanzialmente poi la gente vota e sceglie chi ritiene il migliore. Ma non potendo pretendere che un cittadino scelga tra un idiota e un imbecille, il segnale dell’astensionismo potrebbe essere la forma inusitatamente più efficace di segnalazione del profondo malcontento popolare.
La difesa patetica e formale della politica da parte del presidente Napolitano, ossia lo stesso, che in barba alla democrazia ha commentato di non ritenere che ci sia stato alcun boom (di Beppe Grillo), non farà che accrescere la disaffezione dei cittadini comuni verso le istituzioni.
Anche la retorica del linguaggio, di cui Napolitano è maestro, esaspera l’uomo qualunque nella sua convinzione che un rimedio alla malattia di cui soffre la politica italiana non esista.
Ha certamente ragione il presidente, quando teorizza un male più grande, che nascerebbe dall’abbandono della politica da parte dei cittadini. Resta il fatto che ciò sia una scelta del tutto obbligata. Cosa ha fatto il Quirinale, tanto per fare un esempio (anti-politico anch’esso), riguardo alla lotta agli sprechi? Niente. Il capo dello stato si è limitato ad “accontentarsi”, come tutti gli altri organi costituzionali, a fare crescere le proprie spese sotto il tasso programmato dell’inflazione. Meccanismi contorni e tecnicismi, che significano crescita ulteriore e comunque della spesa pubblica, mentre all’italiano della strada si sono chiesti e si continuano a chiedere sacrifici durissimi su ogni versante.
Sembriamo alla vigilia della Rivoluzione Francese del 1789, quando Re Luigi XVI viveva con i suoi numerosi cortigiani nella residenza dorata di Versailles, ignaro e incurante delle sofferenze dei sudditi. In Italia, Sua Maestà non lo abbiamo da un pezzo, ma non per questo non esistono gli stessi meccanismi di una classe politica nobiliare, non per i suoi comportamenti virtuosi, quanto per lo sdegno che essa dimostra verso il cittadino.
E’ vero. Quando non si ha in animo di partecipare alla “res publica”, è sempre una fase molto pericolosa per la tenuta delle istituzioni democratiche. Ma cosa dovrebbero fare gli italiani? Confermare forse la fiducia a un PDL in rissa sguaiata e senza sostanza, incapace di attuare i propositi presentati in campagna elettorale, a partire da spesa e tasse? A una Lega che mentre gridava contro la “Roma ladrona” era retta da un familismo rubentino, occupato all’acquisto di lauree facili in Albania e di diamanti in patria? A un Terzo Polo, che sembra la copia bruttissima del peggio della Prima Repubblica, nel mezzo non per moderazione, quanto per stare un pò di qua e un pò di là, in base alla convenienza quotidiana? A un PD, che la cronaca ha dimostrato essere colmo di strani personaggi e di giri non meno sospetti di denaro, oltre che inconcludente nell’azione di governo e incapace di esprimere una visione delle cose? Alla sinistra radicale di Nichi Vendola, che vorrebbe portare l’Italia verso il modello sovietico e che alla prova dei fatti come governatore in Puglia, quanto meno ha dimostrato di non essere stato in grado di proporre un modello di amministrazione più trasparente e genuino?
No, grazie. Questo risponderanno in molti a Giorgio Napolitano, mentre molti altri si daranno a un gigantesco “Vaffa”, segnando una croce sulle cinque stelle di Grillo. Perché se proprio uno deve ridere…