Il segretario del PD, Pierluigi Bersani, è sempre più nell’angolo. Nel giro di poche ore ha subito l’iniziativa politica del leader del PDL, Silvio Berlusconi, che ha lanciato la proposta di una stagione costituente per le riforme e allo stesso tempo ha subito una vera e propria minaccia da parte dei leader di Sinistra e Libertà e Italia dei Valori, Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. Intervistato nella trasmissione di La7, In Onda, il governatore pugliese ha messo come stanno le cose: o Bersani sceglie subito un’alleanza con Sel e Idv, oppure non ci sarà alcuna alleanza tra loro e il Partito Democratico. E Vendola fa di più. Indica per la terza settimana di settembre la data ultima entro cui Bersani & Co dovranno decidere con chi andare alle elezioni politiche del 2013.
La presa di posizione dei due segretari ha tutto il sapore di un ultimatum, che rischia di scompaginare i piani del PD. A stretto giro è arrivata la risposta di Rosy Bindi, in qualità di presidente del partito, che ha rifiutato la minaccia di Vendola e dell’alleato Di Pietro, sostenendo che non è su queste basi che si costruisce una maggioranza e che il suo PD sarebbe interessato a costruire un nuovo Ulivo, dai confini ampi e che guardi ai moderati, ossia, prosegue Bindi, a quelle forze politiche che hanno fatto cadere il governo Berlusconi e che stanno sostenendo Monti nella sua missione di risanare i conti, dopo la stagione disastrosa del centro-destra.
E proprio questo è il timore di Nichi Vendola e Di Pietro, cioè che il PD stia facendo una politica dell'”alleanzismo”, come l’ha definita il primo, che tenti sostanzialmente di allearsi con tutti, al centro e a sinistra, ma senza un nucleo stabile di alleati. Una sorta di politica dei due forni, in cui la sinistra italiana è stata brillante negli ultimi anni, pur senza avere capacità di governo. E il dubbio di Bersani e di tutta la segreteria è questo: allearsi con Di Pietro e Vendola potrebbe anche portare alla vittoria, ma non garantirebbe la governabilità. Sarebbe una riedizione ancora più brutta ed estrema di quella dell’Unione del 2006. Ma andare da solo con Casini non garantirebbe proprio la vittoria e rischia, anzi, di provocare un’ulteriore fuga a sinistra dell’elettorato, oltre che verso i giustizialisti di Di Pietro. E allora? Ciò che vorrebbe fare Bersani è un’ammucchiata anti-PDL o quel che ne resta, che spazi da Casini a Vendola, in modo che arrivati al governo si possa tenere a bada l’ala estremista della coalizione. Un tentativo disperato, ma che non avrebbe alcuna possibilità di successo. Non è un caso che la Bindi abbia invitato i due potenziali alleati a non inseguire il voto anti-sistema. Non sarebbe altrimenti possibile nemmeno proporre ai centristi un’alleanza con chi è fautore di certi toni.
Ma se Bersani piange, Gianfranco Fini non ride. La sua creatura politica è inesistente sia a livello di dibattito politico, sia come forza elettorale. Fli non ha un progetto, una prospettiva, tanto che il presidente della Camera ha fatto sbianchettare qualche giorno fa il documento da portare al congresso, in cui si ribadiva il non scioglimento del partito.
E’ stato mollato alla grande e senza esitazione da Casini, che il giorno dopo il primo turno delle amministrative ha certificato la morte del Terzo Polo. Rimasto solo e con un partito senza elettori, Fini sarebbe politicamente disperato, a tal punto da avere chiesto a Casini di ripensare al progetto, magari non chiamandolo più Terzo Polo. Non solo. Fini ha velatamente cercato di minacciare tra le righe Casini, affermando di essere in ogni caso interessato alla discesa in campo di Montezemolo, perché non lo considererebbe forse nemmeno un concorrente politico.
Insomma, la politica italiana pare essere stata colpita da un cataclisma: la Lega sembra essere scomparsa, a tal punto che la sua presentazione alle elezioni politiche prossime è in dubbio. Il Terzo Polo si è sgretolato prima ancora di nascere, il PDL è in crollo verticale di consenso e di tenuta di partito, il PD ha retto il colpo delle amministrative, ma sta in crisi quasi quanto il PDL, mentre Di Pietro e Vendola hanno tutto l’interesse a non abbassare i toni, perché rischiano di dissanguarsi elettoralmente in favore del Movimento a 5 Stelle di Beppe Grillo.
Sembriamo usciti da una guerra. Pensiamo che solo 4 anni fa, PDL e PD avevano preso insieme oltre il 70% dei voti. Oggi, a mala pena arriverebbero al 50%, stando ai sondaggi più ottimisti nei loro confronti. La credibilità dei partiti è di fatto allo zero e questo non fa che dare una mano a Grillo, che i sondaggi darebbero fino anche al 20%, sulla scorta di un malcontento popolare senza precedenti. Bersani, che pure era uscito quale non sconfitto alle amministrative della scorsa settimana, non sembra in grado di dare al suo PD quel colpo d’ala, per reggere all’onda d’urto dei grillini e dell’anti-politica. In questo, è simile ad Angelino Alfano.