L’annuncio era nell’aria da diverse ore, tanto che già ieri mattina tutti i giornali titolavano che l’ex premier Silvio Berlusconi stesse per proporre il sistema semi-presidenziale alla francese con doppio turno, insieme al segretario del PDL, Angelino Alfano. E dall’Aula del Senato, Berlusconi ha lanciato quella che potremmo definire una stagione costituente, in grado, afferma, di far sì che l’Italia diventi Parigi e non Atene. Il riferimento è all’assetto istituzionale, che in Francia funziona piuttosto bene, mentre il rischio è che l’Italia, complice anche il tracollo dei partiti tradizionali, assomigli sempre più alla caotica Grecia politica di queste settimane. Ma parlando chiaramente, l’annuncio delle riforme di ieri rappresenta il ritorno alle scene di Silvio Berlusconi, dopo sei mesi e oltre di stand-by più assoluto.
E’ evidente che l’ex premier stia cercando di riprendere in mano la situazione nel suo partito, perché con tutto rispetto per Alfano, non si è dimostrato in grado di coniugare minimamente le diverse anime e i personalismi isterici dentro il PDL.
Ma l’obiettivo di Berlusconi è duplice: compattare il più possibile il PDL attorno a una fase di riforme condivise (e il semi-presidenzialismo è una battaglia storica dell’allora Msi, poi Alleanza Nazionale), cercando allo stesso tempo di coalizzare intorno a sé tutte le forze moderate e riformiste del Paese. Ovviamente, il riferimento esplicito è ai centristi di Casini, che sono sempre stati sostenitori di una stagione costituente, anche se sui punti di arrivo ci sono differenze notevoli. In più, il sistema elettorale e istituzionale proposto dal presidente del PDL mira anche a contenere la frammentazione eccessiva dei consensi, perché molte forze politiche irrilevanti non avrebbero incentivo a partecipare a un sistema elettorale che non consentirebbe loro molto probabilmente nemmeno di arrivare in Parlamento.
La risposta degli interlocutori di Berlusconi, ossia i restanti leader della maggioranza, è stata un due di picche. Bersani teme che si tratti di un tentativo dell’ex premier di non arrivare a nessuna intesa, prefigurando uno scenario di riforme eccessivamente ambizioso e lontano dall’impostazione storica della sinistra. Più in generale, Bersani vorrebbe tenersi il sistema che c’è, perché cambiando legge elettorale, i conti dovrebbero essere rifatti e anche i giochi di ciascun partito muterebbero notevolmente. Il secondo turno, ad esempio, costringerebbe i centristi ad uscire una volta per tutte allo scoperto, schierandosi di qua o di là. Oltre tutto, questo sistema li ridimensionerebbe fortemente, non è un caso che Casini si sia aggiunto al coro dei no.
No anche da Idv e Maroni, sebbene con sfumature diverse. Il leader “in pectore” della Lega ha affermato che le riforme proposte da Berlusconi sono in linea con quanto anche condiviso dal Carroccio, quando stava in maggioranza con il PDL. Tuttavia, l’ex ministro degli Interni rileva come non ci sarebbero i tempi tecnici per giungere a una riforma.
Ma un risultato già Berlusconi lo ha ottenuto: ha avvicinato a sé un pò di più Luca Cordero di Montezemolo, il quale ha dato la sua disponibilità a una stagione riformista, che anche sui contenuti sarebbe nettamente in linea con le proposte di Italia Futura, il pensatoio liberal-conservatore del numero uno di Ferrari.
Montezemolo e Berlusconi più vicini, mentre si allarga il solco che divide il primo da Casini e Fini, con cui pare non ci siano più rapporti, nemmeno a livello personale.
Malgrado ancora la riserva non sia stata sciolta ufficialmente, l’ingresso di Montezemolo in politica è dato per certo, forse già a giugno. Incerte saranno le alleanze, anche se l’imprenditore ha già fatto sapere che la sua creatura sarebbe alternativa alla foto di Vasto (Bersani, Di Pietro e Vendola), nonché a chi sostiene la politica di Hollande (il PD).
Dunque, sarà certamente un riferimento per il centro-destra, ma non vi sarebbe al momento l’intenzione di costituire un’alleanza con il PDL, oltre che con l’UDC, come chiarisce nitidamente l’ultima dichiarazione di Montezemolo, secondo cui non ci si potrebbe alleare con partiti, che le elezioni amministrative hanno dimostrato giustamente siano stati ampiamente sfiduciati dalla gente.
Molto del ragionamento ancora una volta dipenderà dal tipo di legge elettorale che sarà in vigore al più tardi nel 2013. Il capo dello stato premerebbe per una riforma, anche se un accordo tra i partiti non ci sarebbe e l’annuncio di Berlusconi di ieri potrebbe indurre la sinistra a irrigidirsi ulteriormente.
Di più: il timore di Bersani e Casini è che Berlusconi voglia il sistema alla francese per candidarsi come presidente della Repubblica, eletto direttamente dal popolo. Di sicuro, molti dei voti che l’ex premier possedeva nel 2008 sono andati via e forse non torneranno mai più, ma con altrettanta sicurezza possiamo affermare che egli continui ad avere presa e appeal su una parte non irrilevante dell’elettorato, che grosso modo alle amministrative non è neppure andato a votare.
Perché che sia definito bollito, fritto, alla frutta, superato, disarcionato, l’ombra di Silvio Berlusconi incute ancora molto timore alla sinistra.