Il sindaco di Siena, Franco Ceccuzzi, si è dimesso, dopo appena un anno dall’elezione alla carica di primo cittadino della città toscana. La notizia arriva come una bomba ed è il frutto di un fortissimo scontro interno al Partito Democratico. Ceccuzzi è, infatti, esponente dell’ala ex DS del partito, ma ha dovuto fare i conti con la cruenta opposizione dell’ala ex Margherita, che non ha affatto gradito le nomine per Banca Monte dei Paschi di Siena. E la vicenda, che recentemente era finita in un servizio della trasmissione Report, è a sua volta il frutto dell’intreccio evidente tra politica e affari a Siena.
La questione è questa. Il sindaco e il presidente della provincia di Siena sono azionisti di maggioranza della Fondazione MpS, che a sua volta è azionista di maggioranza della banca senese.
Sindaco e presidente della provincia hanno diritto di nomina di 13 dei 16 consiglieri della Fondazione, cosa che è avvenuta il mese scorso, quando entro il 2 aprile sono state depositate le liste dei candidati per il rinnovo del cda della banca, effettuato in data 27 dello stesso mese e che ha consegnato la presidenza all’ex ad Unicredit, Alessandro Profumo. Ora, lo scontro è stato tutto qua. Profumo è un uomo gradito all’ala ex comunista dei DS, mentre la Margherita avrebbe gradito una personalità della città. Tuttavia, dagli ex DS è arrivato il siluro verso qualsiasi alternativa, sulla base del ragionamento che già oggi la presidenza di Palazzo Sansedoni è nelle mani di un ex Dl, Gabriello Mancini. Pertanto, la nomina del presidente della banca sarebbe spettata solo agli ex DS.
L’insoddisfazione anche per il resto delle nomine al cda ha portato a uno scontro aperto tra le due anime del partito, tanto che il servizio di Report si concentrava proprio su un fatto increscioso e recentissimo. Il presidente Mancini aveva criticato apertamente il sindaco Ceccuzzi e il direttore de La Nazione aveva pubblicato un articolo sul caso, salvo apprendere subito dopo che a causa delle rimostranze proprio di Ceccuzzi, l’editore sarebbe stato costretto a licenziarlo.
Già in sede di presentazione dei candidati per il cda, si era parlato di uno spostamento dello scontro dal consiglio di amministrazione al consiglio comunale. E così è avvenuto.
Il giorno dopo la nomina di Profumo, il consiglio comunale aveva bocciato il bilancio consuntivo della giunta, con gli otto voti determinanti dei “ribelli” del PD, di cui sei ex Margherita, uno vicino alla Cgil e uno dei riformisti. Non era bastato il voto favorevole dell’UDC in consiglio. Anche i rappresentanti delle liste civiche e i consiglieri del PDL avevano votato contro e il voto era finito 17 a 15.
Il sindaco si era riservato il diritto di ripresentare il consuntivo, che doveva essere approvato in consiglio lo scorso 15 maggio, ma la votazione era slittata, a causa del mancato accordo interno al PD.
Già all’inizio del fine settimana, Ceccuzzi aveva paventato le dimissioni, mentre il segretario regionale del partito, Andrea Manciulli, aveva cercato di mediare. Ma la situazione è letteralmente precipitata, malgrado fossero al lavoro diversi pontieri, quando si è sparsa la voce che le opposizioni stessero per presentare un ordine del giorno, con la sfiducia al sindaco. Sfiducia, che sarebbe stata votata anche da mezzo PD.
Questo ha indotto alle dimissioni a solo un anno dall’ottenimento dell’incarico, che avvenne ufficialmente il 19 maggio 2011. Non era mai successo a Siena una cosa simile. Adesso, il comune sarà commissariato, in attesa che si vada molto probabilmente già in autunno a nuove elezioni.
Il caso non deve essere sottovalutato, per quanto riguardi una situazione locale. Lo scontro dentro il PD a Siena avrà ripercussioni nazionali, per il semplice fatto che esso è il riflesso dell’intreccio tra partito e sistema bancario, che ha fatto scoppiare la litigiosità tra le due anime, ognuna desiderosa di non lasciare spazio gestionale all’altra.
E’ lo stesso sindaco dimissionario a parlare di “voglia famelica” di alcuni esponenti del suo partito. In ogni caso, la dimostrazione più evidente che la terza banca d’Italia è nelle mani di un partito politico, cosa che non avviene nemmeno nella Repubblica Popolare Cinese. Attenzione, tutto lecito. E’ la legge istitutiva delle fondazioni del 1992 a contemplare tale situazione, ma sta di fatto che l’attività di un consiglio comunale è direttamente legata a quella di un consiglio di amministrazione di una banca di grossa importanza, tanto che ne è risultata paralizzata, quando si è arrivati allo scontro per le nomine in cda.
A causa di problemi di debito, la Fondazione ha negli ultimi due mesi ridotto il peso azionario in MpS, scendendo dal precedente 49,5% all’attuale 36,5%, ma con la possibilità di arrivare fino a un minimo del 33-34%. Parte della quota ceduta è stata acquistata dalla famiglia fiorentina Aleotti, proprietaria della società farmaceutica Menarini.
Il partito di Bersani dovrà ora affrontare una crisi locale seria, che rischia di far franare elettoralmente il partito in una delle sue roccheforti storiche e proprio in un momento così delicato di sentimenti crescenti anti-politici.