Tra un mese, i greci saranno chiamati per la seconda volta in quaranta giorni a rinnovare il Parlamento, dopo che sono fallite tutte le consultazioni del presidente Carolos Papoulias, per formare un governo. Ma, intanto, malgrado il Parlamento sia stato di fatto sciolto, i deputati appena eletti non avevano ancora giurato sino a ieri, a dimostrazione della situazione di caos e di paradosso in cui il Paese è precipitato. E così ieri i 300 deputati del Vulì, il Parlamento di Atene, hanno dovuto presentarsi per la cerimonia di insediamento, subito dopo la quale è stato loro comunicato ufficialmente lo scioglimento della Camera. In osservanza del clima di profonda austerità della Grecia, i parlamentari hanno anche deciso di rinunciare agli emolumenti loro spettanti per questo mese tra un’elezione e un’altra. Un fatto simbolico, ma che altrove sarebbe non troppo scontato.
I 21 deputati di Alba Dorata, il partito neonazista arrivato al 7% alle elezioni del 6 maggio, sono entrati in Parlamento a passo di marcia, l’ennesima provocazione di questa formazione, che simpatizza apertamente per Hitler e la sua ideologia, da cui hanno preso a prestito simboli e coreografie.
Quando la cerimonia di inaugurazione del Parlamento è stata celebrata dall’arcivescovo di Atene, Ieronimus, i deputati neonazisti si sono rifiutati di alzarsi in piedi, mentre i comunisti di KKE sono, addirittura, usciti dall’aula, pur di non presenziare all’evento. Sono solo piccole chicche di uno stato ormai alla deriva sotto ogni punto di vista. I sondaggi continuano ad evidenziare un forte distacco tra il Paese reale e i suoi rappresentanti politici. Il 67,7% degli intervistati dichiara di essere stato favorevole alla formazione di un governo, contro il 30,3% che era contrario. In sostanza, la scelta di tornare alle urne non piace a più di due greci su tre. E l’81,5% dei greci vorrebbe restare nell’Eurozona, contro un 13,5% che sarebbe propenso ad uscirvi. Sono gli altri paradossi della Grecia odierna e non è forse un caso che il termine “paradosso” sia proprio greco. In sostanza, la popolazione vorrebbe tenersi l’euro, più per paura di quello che potrebbe accadere nel caso contrario, che per convinzione. E, tuttavia, non accetta le misure necessarie per restare nell’Area Euro. Proprio su questo aspetto si giocheranno le elezioni politiche del 17 giugno, che saranno a tutti gli effetti un referendum pro o contro la moneta unica.
E già è iniziato lo scontro duro tra il leader di Nuova Democrazia, Antonis Samaras, e quello di Syriza, Alexis Tsipras. Quest’ultimo è stato la vera rivelazione delle ultime elezioni, prendendo il 16,7% dei consensi e attestandosi al secondo posto, scalzando da tale posizione i socialisti del Pasok e a distanza di appena due punti dai conservatori di Samaras.
La vera sfida sarà proprio tra questi due partiti, visto che ormai i socialisti sembrano destinati a non essere più “frontrunner”, bensì in posizioni secondarie. Tsipras continua a scagliarsi contro i due partiti tradizionali, accusandoli di volere la privatizzazione di tutto il settore pubblico e di utilizzare le paure della gente per condizionarli nell’accettare l’austerity imposta dalla UE.
Samaras ha affermato che Syriza porterebbe la Grecia nel dirupo e che nessuno sarebbe favorevole al Memorandum, ma che questi resterebbe l’unica soluzione possibile per evitare disastri più grandi al Paese.
I sondaggi iniziano a essere meno unanimi di qualche giorno fa. Se Syriza conferma il suo balzo oltre il muro del 20%, tuttavia, pare che anche i conservatori di Nuova Democrazia siano in forte recupero. L’ultima rilevazione, effettuata tra il 15 e il 17 maggio, indicherebbe che i conservatori sarebbero al primo posto, con il 26,1% dei consensi, seguiti dal 23,7% di Syriza. In recupero anche i socialisti, che arriverebbero sopra il 14%, contro il 13,3% ottenuto il 6 maggio.
E chi arriva primo non è indifferente per la legge elettorale ellenica, visto che il primo partito ottiene automaticamente 50 deputati in più, come premio di maggioranza. Stando a questo sondaggio, quindi, Atene potrebbe anche sperare di avere un Parlamento a maggioranza conservatori-socialisti, in grado di approvare il famoso Memorandum.
Va detto che si tratta di un solo sondaggio, perché fino a ieri sera tutti le altre rilevazioni indicavano Syriza al primo posto. E’ evidente che la partita sarà giocata tutta sulla paura dell’ignoto, facendo leva sulla volontà dei greci di non abbandonare l’Europa e la moneta unica.
Per contro, i partiti anti-Memorandum hanno la carta delle misure impopolari che sarebbero imposte ai greci, nel caso in cui vi fosse una maggioranza filo-UE. Ed è davvero difficile che la popolazione allo stremo accetti altri tagli e aumenti di imposte per complessivi 11,5 miliardi, pari al 5% del pil. E’ come se in Italia si dovesse varare entro giugno una manovra correttiva dei conti per 80 miliardi di euro.
Sul futuro incombe anche il declassamento di ieri sera di Fitch, che ha abbassato il rating sovrano da B- a CCC, ossia il livello appena superiore a D, che indica il Default. Per l’agenzia, nel caso di una vittoria delle forze anti-Memorandum, la Grecia sarebbe molto probabilmente costretta a uscire dall’Eurozona.