Sono nove milioni gli italiani che sono chiamati oggi e domani a rinnovare circa mille comuni in tutta Italia. Un appuntamento di grande importanza per i numeri e il significato che esso assume in un momento come questo, ma forse mai i partiti nazionali hanno cercato di mettere in sordina la loro campagna elettorale, come pure è avvenuto in queste settimane. Non vi è stato alcun partito ad avere posto l’accento sull’importanza del voto di oggi e domani, perché un pò tutti temono quanto sta per materializzarsi ai seggi con molta probabilità: l’inizio del tracollo della Seconda Repubblica.
Certo, trattandosi di elezioni locali, non è facile che si realizzi ovunque una vera alternativa politica ai partiti in Parlamento, anche perché il dato che emergerà già domani pomeriggio potrebbe essere l’avanzata delle 2.742 liste civiche presentatesi a questa tornata, un record nella storia delle amministrative, ma che non sarà di facile lettura, com’è nella natura di queste formazioni campanilistiche.
Il dato più interessante a cui dovremmo prestare attenzione, invece, sarà un altro: l’affluenza ai seggi. Tradizionalmente, gli italiani sono un popolo che va sempre a votare con percentuali altissime, che si attestano mediamente ben sopra l’80% per le elezioni politiche e non meno del 70-75% per quelle amministrative. Lo scorso giovedì, le elezioni locali in Gran Bretagna hanno raccolto la partecipazione del 32% degli aventi diritto, una cifra bassa anche per un Paese molto tiepido verso l’istituto del voto. E, tuttavia, anche in Italia potremmo sin da oggi assistere a un crollo nel numero dei votanti. Il perché è presto detto. Il livello di malcontento popolare è altissimo. I partiti nazionali hanno fatto di tutto, negli ultimi mesi, per allontanare da sé gli elettori. Prima il cambio di governo e l’arrivo di una mazzata fiscale, che è stata alla base di 33 suicidi in quattro mesi e mezzo scarsi, poi gli scandali dei finanziamenti ai partiti, come il caso Lusi, ex tesoriere Margherita, o quello del Carroccio, che ha spinto alle dimissioni persino il Senatùr Umberto Bossi.
Da Nord a Sud, il Paese vive la sensazione di una paralisi senza prospettive e la sfiducia nella classe politica e nelle istituzioni di ogni livello ha toccato livelli di allarme da mesi. L’unico punto in favore della Casta è che trattandosi di elezioni locali, qualcuno potrebbe recarsi ai seggi, seppur scontento, per il solo fatto che si tratta di scegliere un sindaco o un consigliere comunale. Sappiamo che in questi casi le dinamiche personali e la vicinanza dei candidati sono fattori che spingono alla partecipazione.
Una cosa è certa. Se la partecipazione già del primo turno fosse ritenuta bassa, la Seconda Repubblica vacillerebbe con oscillazioni più ampie e immediate del previsto. Non è, tuttavia, semplice prevedere un tasso, al di sotto del quale si potrà annunciare la morte della classe politica. Va da sé che un’affluenza sotto il 50% scatenerebbe un terremoto politico, ma non dovrebbe scendere a questi livelli la pur bassa partecipazione al voto prevista.
E’ quasi secondario chi domani canterà vittoria o meno per il risultato ottenuto. Se dovesse affievolirsi troppo il numero dei votanti, infatti, avrebbe poco senso gioirsi di avere ottenuto un buon numeratore su una base ridotta ai minimi termini.
Un altro dato che si dovrà guardare con attenzione riguarda il risultato che avrà ottenuto Beppe Grillo con il suo Movimento a 5 Stelle. Dovesse raggiungere percentuali di rispetto in molte grosse realtà urbane, allora saremmo all’inizio del conto alla rovescia della caduta di Monti.
Già, Monti. Ma dopo di lui cosa? Le elezioni anticipate sarebbero l’unica soluzione ovvia, ma per allungare, forse, l’agonia di questa Repubblica.
A rigor di logica, i tre partiti che lo sostengono dovrebbero utilizzare questi dieci mesi scarsi che restano loro per tentare di approvare alcune riforme istituzionali minime, in grado di far funzionare la governabilità anche da noi. Ma ciò non sarà possibile, perché di fatto siamo già in pieno clima elettorale, che non consentirà alcun avvicinamento tra le opposte posizioni su molte questioni.
E allora, il rischio è che il messaggio che oggi e domani milioni di italiani invieranno a Roma non sia recepito, se non a parole. Assisteremo a mesi in cui ciascun partito cercherà di rivendicare il primato politico in termini di consensi, ma senza che si muoverà foglia.
Il PDL non potrà staccare la spina a Monti, ma si limiterà alle minacce verbali, non avendo un alleato e nemmeno un nome con cui presentarsi alle politiche del 2013. Aggiungerei, non avendo neppure una classe dirigente, dopo l’addio di Berlusconi. Il PD potrebbe uscire tronfio del risultato acquisito, ma si troverà a patteggiare un accordo di governo con Nichi Vendola e Di Pietro, per mettere su un governo dei no a tutto.
Per questo, dovremmo augurarci che a urne chiuse il terremoto sia di dimensioni tali da convincere i partiti della maggioranza a darsi una sveglia e a cercare di riformare seriamente sé stessi. Il dubbio è che ciò non avvenga.