La sera del 24 aprile può essere ricordata come la fine di fatto della campagna per le primarie del Partito Repubblicano. Si votava in cinque stati, New York, Connecticut, Pennsylvania, Delaware e Rhode Island. In tutti e cinque gli stati, il candidato mormone si è imposto in maniera schiacciante sui due avversari ancora in gara: l’ex speaker del Congresso, Newt Gingrich, e il libertario texano Ron Paul. In Connecticut, si afferma con il 67,4% dei consensi, in Delaware con il 56,5%, in Pennsylvania con il 58%, nel Rhode Island con il 63,2% e a New York con il 62,2%. Le cifre della vittoria sono state così nette, che subito dopo la chiusura dei seggi, Romney è stato proclamato vincitore ovunque.
La svolta per l’ex governatore del Massachussetts è arrivata con il weekend di Pasqua, dopo il quale il suo più diretto rivale, l’italo-americano Rick Santorum, a capo della base conservatrice del GOP, aveva annunciato di ritirarsi dalla sfida per la nomination, a causa dello stato di salute peggiorato della figlioletta Bella.
Da allora, per Romney la strada per la nomination è stata tutta una discesa e subito sono iniziati ad evolversi in positivo anche i sondaggi per le elezioni presidenziali del 6 novembre. Se si votasse oggi, tra Romney e Obama ci sarebbe un testa a testa, con più di un sondaggio a pronosticare persino una vittoria del primo. Proprio per questa ragione, a urne chiuse Romney ha voluto concentrarsi sul rivale di novembre, sostenendo che Obama sta facendo negli ultimi anni il meglio di cosa riesca a fare, ma che non sarebbe il meglio per l’America. E ringraziando gli elettori dei cinque stati, Romney ha anche aggiunto che dopo più di una notte insonne e qualche sofferenza, oggi può dire di essere stato insignito dell’onore di rappresentare i repubblicani.
In effetti, andando ai numeri, non ci sarebbe più alcuna chance per Gingrich e Paul di agganciare la nomination. L’ex governatore del Massachussetts ha 683 delegati, Santorum 267, Gingrich 141 e Paul 84. Il numero magico è 1.144, ossia esattamente la metà più un delegato, necessari ad ottenere la nomination alla convention di Tampa Bay di agosto, in Florida.
La distanza ormai tra il frontrunner e gli inseguitori è siderale, tanto che si allontana anche il rischio di una cosiddetta “brokered convention”, ossia di un congresso, in cui non avendo nessuno dei candidati la maggioranza dei delegati, si andrebbe a un accordo politico.
Da oggi, più di ieri, tutto il prosieguo della campagna elettorale sarà all’insegna della sfida alla Casa Bianca. Non è detto poi che Gingrich non si ritiri. Se è vero che l’ex speaker punta ad ottenere una buona base di delegati, nel caso di una “brokered convention”, è anche vero che è troppo indebitato, per cui potrebbe essere costretto a gettare la spugna.
Nel suo discorso di ringraziamento, Romney ha già impostato la discussione su un argomento che sta molto a cuore agli elettori del GOP. Ha affermato che il 6 novembre gli americani dovranno scegliere tra due visioni alternative della società: quella di Obama, in cui il governo è al centro di tutto e pretende di gestire la vita dei cittadini con i burocrati; quella sua, in cui gli americani sono sostenuti nella loro libertà, in modo che possano perseguire la felicità come meglio credono.
Pronta la risposta della Casa Bianca, che ormai da settimane è concentrata solo nel punzecchiare Romney, non dando alcuna rilevanza agli altri candidati rimasti in gara. Da Washington, Obama sostiene che Romney sarebbe “troppo conservatore”, addirittura, più conservatore del suo stesso partito.
Un’affermazione, forse, che punta a sottrargli la base moderata e centrista dell’elettorato, quello che si mostrerebbe più incline a votarlo, rispetto a un Obama, a tratti avvertito un pò troppo “radical”.
Sarebbe davvero un paradosso per Romney, visto che finora l’accusa più ardua a cui ha dovuto fare fronte è stata proprio quella di essere troppo moderato e troppo poco conservatore, tanto che la destra gli ha preferito nettamente Santorum.
Se dovesse essere questo il ritornello della campagna di Obama, per Romney si potrebbe aprire la prospettiva inattesa, ma positiva, di compattare l’elettorato alla sua destra attorno a lui, mentre non dovrebbe per questo perdere il centro, godendo personalmente di una buona affermazione e credenziali tra gli indipendenti.
Sarà importante nelle prossime settimane verificare il nome del suo candidato vice. Lo schema potrebbe essere quello di metterci un conservatore e a questo punto, salvo che non possa accettare per le note questioni familiari, Santorum sarebbe in pole position, insieme ad altri candidati, come il senatore della Florida, Marco Rubio, di origini cubane, che potrebbe essere così determinante per fare scattare la vittoria in uno stato considerato “swing” o “oscillante”, come, appunto, la Florida.
A tale proposito, nei giorni scorsi è arrivato in suo favore l’endorsement del carismatico e importante ex governatore dello stato, Jeb Bush, fratello di George W., il quale lo ha definito “il migliore vice-presidente che l’America potrebbe avere” e dichiarando di sperare che accetti la proposta, qualora gli venisse rivolta da Romney.