L’ultima notizia che turberà il weekend degli italiani è l’annuncio del governo che potrebbe essere introdotto un ulteriore aumento delle accise di 5 centesimi per litro di benzina. In sostanza, si andrebbe di batosta in batosta, dopo avere già il carburante più caro d’Europa e la pressione fiscale più disumana. I nuovi fondi servirebbero per finanziare la Protezione Civile, ma Palazzo Chigi assicura che la tassa scatterebbe solo in caso di urgenza. Inevitabile è arrivato l’ok delle regioni, ossia di quella cozzaglia di venti enti spreconi, che non hanno mai detto no alla spremitura del contribuente.
Come reagiranno gli italiani all’ennesima stangata fiscale, che avrà conseguenze disastrose sul costo del trasporto di beni e sulle tasche dei lavoratori? Sarà sempre e ancora una volta l’ennesima rabbia soffocata nel borbottio dell’italiano medio, nelle chiacchiere rassegnate da bar? La sensazione è che le cose stiano precipitando.
Molti elementi ci inducono a pensare che l’Italia sia al collasso delle sue istituzioni. Intendiamoci, tale collasso è strisciante da almeno venti anni, da quando, cioè, con la fine ingloriosa della Prima Repubblica si diede vita alla sua brutta copia, che fu poi chiamata Seconda Repubblica, una sorta di 2.0 della mediocrità. Tuttavia, negli ultimissimi mesi, un coacervo di situazioni potrebbe portare a un tracollo drammatico della tenuta delle istituzioni. Il primo fattore si chiama crisi. In ogni tempo e in ogni luogo le crisi esistono e non per questo i popoli si esasperano. Ma l’Italia non cresce da venti anni e da qualche decennio una parte della sua popolazione, i giovani, vivono in un limbo di disperazione ed esasperazione, per via di un’assenza cronica di lavoro, di prospettive, di meritocrazia.
Inutile citare tutti i dati che contraddistinguono in negativo l’economia italiana. Se fino ad oggi non è esplosa una rivolta giovanile contro lo stato è solo perché le famiglie e un sistema sociale distorto, imperniato sulle pensioni, hanno permesso ai più giovani di tenersi a galla, di sopravvivere. Tuttavia, anche questo sistema è saltato, con l’inevitabile conseguenza che dopo anni di rosicchio delle ricchezze accumulate in passato, siamo tutti alla canna del gas.
Secondo fattore critico. Nel 1992-’93, malgrado la fortissima rabbia popolare contro i politici, la voglia di rinnovamento trovò uno sfogo nella creazione di un nuovo assetto di potere, basato sul binomio berlusconismo-antiberlusconismo. Insomma, la passionalità politica dei pro e contro Berlusconi permise al cittadino comune di trovare uno sbocco alla crisi istituzionale che aveva travolta la Prima Repubblica. Oggi, non solo non esiste un nuovo Berlusconi, ma non vi è in giro nessun leader politico che goda di quella minima fiducia, in grado di rappresentare un elemento di speranza almeno per una parte dell’elettorato. Le vicende della Lega, della Margherita, il caos sanità in Puglia e Lombardia non sono altro che prove ulteriori, agli occhi degli italiani, di una politica del tutto slegata dal perseguimento del bene comune.
Terzo elemento. Il discredito delle istituzioni. Non solo la politica in sé, ma anche il Parlamento, il Quirinale, i giudici godono di pessima fama, tanto per usare un eufemismo. Queste istituzioni elefantiache e costosissime sono avvertite come inutili e non in grado di riformarsi. Esiste una convinzione diffusa e radicata sopra ogni altra idea che non ci sia più modo per fare sì che questi organismi si riformino, che venga ascoltata la voce esasperata del cittadino.
Quarto elemento: l’insensibilità di governo ed enti locali sulla questione fiscale. Tassati come mai nella storia non solo della Repubblica, ma dell’Italia unitaria e pre-unitaria, il cittadino avverte che si sta andando verso un ulteriore aumento della pressione fiscale, in una fase in cui i redditi sono defalcati dall’aumento dei prezzi del carrello della spesa e da un tonfo nell’occupazione e nella liquidità circolante. Quando a giugno ci si troverà a pagare l’Imu anche sulla prima casa, moltissime famiglie saranno in seria difficoltà, perché non troveranno realmente i soldi da cacciare. Allora, sarà l’inizio dell’irreparabile.
Nei primissimi mesi del 2012, il calo dello spread e la conseguente euforia indotta dalla stampa finanziaria e generalista nel suo complesso hanno contribuito a creare un clima di rasserenamento della percezione della gravità della crisi in corso. Ma le sorti sono cambiate anche sul fronte “spread” e non è un caso che in poche settimane sia letteralmente precipitata anche la popolarità del governo Monti.
La disgrazia di questa fase è che non esiste alcun partito che possa rappresentare e incanalare il malcontento trasversale degli italiani. Le formazioni politiche maggiori sono costrette a sostenere Monti. La Lega è fuori gioco, sia per il caso Belsito, sia anche perché nel migliore dei casi non potrebbe rappresentare geograficamente tutto il Paese. Lo stesso Di Pietro viene avvertito quale contrappeso a un Berlusconi che non è più al governo e la sinistra radicale non è in Parlamento, né sarebbe in grado di rappresentare gli umori del ceto medio, che è poi quello che vede su di sé un peggioramento delle condizioni esistenziali e materiali.
Per tutte queste ragioni, entro alcuni mesi l’Italia potrebbe essere trascinata senza nemmeno accorgersi in una sorta di protesta di massa violenta, indiscriminata, rabbiosa e senza guida. Non è facile capire in quali forme essa avverrà. Mancando i capi e le strutture, non sarà qualcosa di organizzato, né di coerente, ma proprio per questo ancora più esplosivo.
Siamo vicini al crollo delle istituzioni repubblicane, non solo di quelle della Seconda Repubblica, che poi sono le stesse della Prima. Cosa accadrà dopo è difficile immaginarlo, ma teniamoci forti, perché qualcosa di davvero grosso sta per accadere.