Male, malissimo l’ultima asta dei BoT conclusasi da poco. Il Tesoro ha collocato tutti gli 11 miliardi di euro in titoli a 3 mesi e a 12 mesi, a fronte degli 8,25 miliardi in scadenza. Come era nelle previsioni, i rendimenti hanno risentito negativamente del clima glaciale sui mercati finanziari nelle ultime sedute, ma nessuno si attendeva un esito così negativo. In particolare, il Tesoro ha emesso 8 miliardi con scadenza 12 aprile 2013, al prezzo di 97,231 e per un rendimento del 2,840% contro l’1,405% di appena un mese fa. Il rapporto di copertura è stato stabile a 1,382. In sostanza, i rendimenti sono più che raddoppiati da marzo ad aprile, quando fino a ieri ci si attendeva un rialzo al 2% massimo, ossia in linea con il dato sul “grey market”.
I BoT a tre mesi, con scadenza 16 luglio 2012, sono stati collocati per un imposto complessivo di 3 miliardi e a un prezzo di 99,685, per un rendimento dell’1,249%, contro l’appena 0,492% di un mese fa. Il rapporto di copertura in questo caso è stato di 1,516 da 2,234.
Anche sul segmento a tre mesi, che non viene trattato sul mercato secondario, si è registrato, quindi, un netto rialzo dei tassi, che quasi triplicano, rispetto al dato di 30 giorni prima. Gli analisti sottolineano come adesso ci sia qualche preoccupazione sull’asta dei BTp di domani, che già in sé presentano un profilo di rischio più alto dei titoli a breve scadenza. La speranza è in buona parte affidata alla scadenza entro il prossimo lunedì di 16 miliardi di titoli di stato, che dovrebbero essere reinvestiti. Tuttavia, qualora il risultato all’asta di domani dovesse essere negativo, in termini di domanda, nonostante questo dato, allora potrebbe scattare un allarme Italia sui mercati.
Ad oggi, da Crédit Agricole si fa notare come il Tesoro non abbia registrato alcuna difficoltà nel collocare i suoi titoli, malgrado l’aumento dei rendimenti. Inoltre, questi ultimi sarebbero ben lontani dai massimi raggiunti a novembre e questo lascia margine alla speranza.
E sul mercato secondario, lo spread tra i BTp a dieci anni e i Bund tedeschi della stessa scadenza stringe dai 400 punti dell’apertura ai 369 punti circa; quasi un paradosso, ma che riflette un’attesa evidentemente negativa che il mercato aveva di quest’asta odierna italiana.
A pesare sul collocamento incidono diversi fattori. Il primo si chiama Spagna. I mercati temono che Madrid non riuscirà a mantenere fede agli impegni di risanamento fiscale, visto che il deficit viaggia intorno all’8%, contro un obiettivo del 5,3% del pil concordato con Bruxelles.
Altro motivo di pessimismo riguarda poi proprio l’Italia, con un’economia reale in caduta libera, in buona parte proprio a causa delle cure fiscali del governo Monti, che all’estero iniziano ad essere guardate con diffidenza, dato l’impatto negativo che stanno avendo su produzione e occupazione, con ripercussioni potenzialmente negative sui conti pubblici, i quali potrebbero persino peggiorare, anziché migliorare.
Non ultimo, continua a fare discutere il dossier Grecia, con i dubbi crescenti tra gli operatori sul rispetto degli obiettivi di risanamento fiscale imposti dalla Troika (UE, BCE e FMI).
Ma la novità negativa di queste ultime sedute è l’ostentazione di un certo pessimismo da parte degli analisti finanziari e i commentatori americani, i quali ritengono che la soluzione sul debito dell’Eurozona sia lungi dall’essere risolta e guardano con preoccupazione alla situazione dell’economia di alcuni stati, Italia compresa, che sarebbe in via di peggioramento, anche e soprattutto per una sorta di “overshooting”, ossia di un eccesso di misure di austerità intraprese dai governi nazionali.
Ad indebolire la prospettiva di un ritorno alla normalità sui mercati finanziari ci sono poi le polemiche all’interno della BCE, con i tedeschi che alzano la testa contro le misure del governatore Mario Draghi, in particolare, annunciando la loro contrarietà su eventuali altre aste Ltro, per pompare liquidità ulteriore in favore delle banche.
L’ultimo intervento in tal senso era stato del componente tedesco del board della BCE, Joerg Asmussen, il quale aveva affermato che il mercato non dovrebbe attendersi una terza asta di prestiti a rubinetto all’1%, paventando una specie di veto della Germania se Draghi dovesse decidere in questa direzione.
Il riaccendersi dello scontro tra Berlino e Francoforte allarma i mercati, perché evidenzia la debolezza della struttura monetaria europea, nei fatti lungi dall’essere unica e condivisa.
Ad ogni modo, Piazza Affari, dopo avere ripiegato in terreno positivo, a metà seduta è in deciso rialzo, dopo il tonfo di ieri, a +2,22%, segnale che i mercati avrebbero interpretato positivamente l’esito dell’asta di oggi.
Anche dalla Banca d’Italia si fa notare come il rialzo dei rendimenti sia dovuto essenzialmente alle tensioni nell’Eurozona. Fattore esterno, quindi, ma che potrebbe essere sostenuto anche dall’incapacità del governo Monti di adottare una riforma compiuta del mercato del lavoro, come rivela l’intesa per la modifica solo parziale dell’articolo 18.
Insomma, c’è la sensazione che i mercati finanziari abbiano iniziato a comprendere che la politica del governo tecnico è basata solo su nuove tasse e balzelli, ma non su riforme strutturali dell’economia, di cui non si vede nemmeno l’ombra.