Torna la tassa di soggiorno in quasi 500 Comuni italiani, dopo circa 23 anni dalla sua ultima abolizione.
Questa tassa pesa nelle tasche dei turisti che soggiornano in alberghi, bed and breakfast, agriturismo, locali atti allo stesso scopo, ma anche campeggi. Essa ha un valore di pochi euro fissi a notte, in base alla località turistica scelta oppure anche alla comodità dell’albergo in cui si soggiorna, misurata ad esempio dal numero di “stelle”.
Nonostante il suo valore irrisorio, che va da 1 a 5 euro circa, è comunque una vera e propria tassa che si aggiunge alla lunga lista delle novità fiscali del Governo Monti (Imu in cima a tutte). La causa dell’abolizione, avvenuta nel 1989, è data dall’effettiva antieconomicità di tale tassazione, che appunto sfavoriva le attività turistiche in tutta Italia. Essa prese piede nei primi anni del 1900 con la legge numero 863/1910 e poi modificata nel 1939. Il suo rinnovo è dovuto soprattutto per alimentare le casse dei Comuni. Ma aiuterà davvero l’Italia e la sua economia sempre più in crisi? La riscossione dell’imposta di soggiorno è nelle mani dei locali alberghieri, i quali nella ricevuta da dare al cliente dovranno specificare l’ammontare della tassa, oltre alle normali spese di soggiorno. Le strutture ricettive poi dovranno versare il tutto al Comune di appartenenza.
Tra le città più importanti dei 479 Comuni che stanno ricorrendo alla tassazione per il soggiorno dei turisti nelle proprie mura, troviamo Firenze, Venezia, Siena e molte altre.
La tassa di soggiorno tuttavia potrebbe avere anche un aspetto positivo per i residenti nel lungo periodo, come ad esempio la diminuizione dell’addizionale Irpef oppure delle tariffe dei servizi pubblici. Tuttavia la crisi economica spaventa e ciò potrebbe causare un ulteriore impatto negativo, soprattutto per le attività turistiche.