A due giorni dalle dimissioni “storiche” di Umberto Bossi da segretario della Lega Nord, dentro al partito inizia il nuovo corso all’insegna dell’ex ministro dell’Interno, Roberto Maroni. E’ vero che il Carroccio è traghettato al congresso autunnale da un triumvirato, che in teoria garantisce tutti e che comprende, oltre a Maroni, anche Roberto Calderoli e Manuela Dal Lago, quest’ultima vicina al capo deposto. Tuttavia, che il vero potere sia nelle mani di Bobo non lo dubita nessuno, come dimostra anche l’ultima riunione in Via Bellerio, la sede storica dei leghisti, dove la Dal Lago non ha neppure partecipato.
Una cosa ha detto Maroni e dovrebbe verificarsi al prossimo congresso: ci sarà un candidato unico. La Lega non può permettersi una sfida per la leadership, come accade negli altri partiti e, quindi, sarà solo uno il candidato alla segreteria. Che tradotto per i non addetti ai lavori, significa che contro Maroni non sarà fatto schierare nessuno.
Ma i lumbard hanno bisogno anche dei veneti per governare il partito. La Lega non è un contenitore così omogeneo come si pensa, ma il frutto di un’alleanza tra segreterie regionali, in cui i lombardi e i veneti la fanno da padroni, per via del consenso molto alto che il Carroccio riscuote in queste due regioni. Tanto che a ridosso delle dimissioni di Bossi, c’è chi commentava che dopo oltre 25 anni di leadership della Lombardia, adesso non sarebbe stato accettato un altro lombardo alla segreteria, ma il Veneto avrebbe preteso la successione. Uno scenario improbabile, però, se non altro perché c’è Maroni. E questi potrà contare del sostegno convinto di Flavio Tosi, il potente sindaco di Verona, che con l’ex segretario ha avuto più di un alterco, uno risalente a pochi mesi fa, quando il Senatùr affermò davanti ai giornalisti (riportiamo letteralmente) che lo avrebbe preso a calci in culo. Una polemica che seguiva una contestazione subita da Bossi poco prima, per la quale aveva accusato proprio il sindaco scaligero di avere organizzato una claque e di avere portato nel partito un gruppo dirigenti composto da fascisti ex missini. Non solo. In preda al raptus di rabbia, Bossi arrivò a minacciare seriamente Tosi di buttarlo fuori dal partito. Opzione sul tavolo fino a qualche giorno fa, per la sua volontà di ripresentarsi al voto di primavera con una lista personale, accanto a quella della Lega.
Sembrano ormai cose lontane, ma che contano negli equilibri post-bossiani. Se c’è una ragione vera delle dimissioni del vecchio capo è che la sua malattia lo ha costretto dal 2004 a delegare i rapporti e a non poterli più coltivare sul territorio. Per questo, l’uomo si è trovato solo, attorniato solo da un famigerato “cerchio magico”, i cui componenti venivano accuratamente pre-selezionati dalla moglie Manuela e dalla “badante” Rosy Mauro, quest’ultima a capo del sindacato padano, che ironia del destino sono due donne meridionali (siciliana e pugliese, rispettivamente).
Ma adesso che Bossi è relegato al ruolo di comparsa come presidente onorario del partito, Maroni ha già messo in moto la sua personale macchina da guerra, che inizierà a tagliare teste prima del previsto e a creare un vuoto attorno al cerchio magico. E la prima sedia che potrebbe saltare dovrebbe essere quella del segretario provinciale di Varese, Maurilio Canton, eletto solo poche settimane fa, alla fine di un violento braccio di ferro tra le parti.
Ma voci di corridoio dicono che in bilico ci sarebbe niente di meno che lo stesso Calderoli, che fa parte del triumvirato, ma che evidentemente non va giù al nuovo corso interno, visto che l’uomo si è sempre districato tra le due correnti, negli ultimi tempi, dando un colpo al cerchio (magico!) e uno alla botte.
Quello che la Lega non potrà permettersi nelle prossime settimane è una guerra sguaiata e fratricida, che sta già disorientando tantissimo gli elettori storici, legati alla figura del Senatùr. Due sondaggi ci dicono che in due soli giorni, il Carroccio avrebbe perso anche oltre l’1% dei consensi. Se la scorsa settimana era dato al 9%, oggi Nicola Piepoli lo da all’8%, mentre Fabrizio Masia riporta un calo dell’1,2% al 7%, secondo una rilevazione commissionata dal TG La7.
Normale, nulla che dovrebbe inquietare i vertici del Carroccio più di tanto. Ma esprime l’allarme che vi possa essere un corso calante nei consensi, che potrebbe proseguire per mesi, qualora gli elettori avvertissero che il partito è lacerato e in preda a scontri tra poltrone, come un pò in tutti gli altri partiti italiani. Perderebbe quella classica distinzione, che ha reso la Lega Nord un partito certamente chiacchierato, ma sempre affascinante e guardato con una certa invidia per la sua unità granitica sinora dimostrata.
Il primo contraccolpo potrebbe registrarsi già tra quattro settimane, quando verranno rinnovati le cariche di sindaci e dei consigli comunali di molti comuni al Nord. Ma il vero pericolo si chiama “sbarramento al 5%”, la soglia minima per entrare in Parlamento, che PDL, PD e UDC vorrebbero introdurre con la nuova legge elettorale. Il capo non c’è più; Maroni non ha ancora alleati fuori dal partito e tutto questo mette il Carroccio in una posizione molto delicata.