Lega Nord, “cerchio magico” promette guerra aperta. Rischio scissione

Le dimissioni di Umberto Bossi da segretario del Carroccio erano inevitabili, come lui stesso ha ammesso ieri sera, lasciando il Consiglio Federale. E’ stato un addio emozionante. Il Senatùr ha affermato ai microfoni dei giornalisti che lo attendevano in via Bellerio, che avrebbe pianto durante l’annuncio delle sue dimissioni e che poi avrebbe smesso, perché stavano piangendo tutti. Pare che alla fine del suo discorso, il leader e Roberto Maroni si siano stretti in un abbraccio, come ha postato su Facebook il consigliere comunale di Milano, Matteo Salvini.

Chi sbaglia paga, indifferentemente dal cognome che porta. Sono state queste le parole di Bossi, che hanno anticipato il passo indietro. Il Senatùr ha preso atto che la sua persona sarebbe stata d’intralcio e un danno per l’immagine del partito. Inoltre, chiede chiarezza, visto che di mezzo ci sono i figli.

E si apprende che da segretario sarà nominato presidente onorario, una carica che nel partito non ha mai avuto un vero significato. Un riconoscimento per l’uomo, che 28 anni fa fondò la Lega Autonoma Lombarda e poi la Lega Nord. Il congresso si terrà, invece, in autunno, malgrado lo statuto del partito preveda che la data sia convocata a 30 giorni dalle dimissioni del segretario. Inopportuno, però, che si vada a un congresso negli stessi giorni in cui si tengono le elezioni amministrative. Per ora, il partito sarà retto da un triumvirato, formato da Roberto Maroni, Roberto Calderoli e Manuela Dal Lago, ex presidente della Provincia di Vicenza, oggi deputato vicino a Bossi.

Spetta a loro dare ridare serenità al Carroccio e alle sue componenti interne. Un compito per nulla facile, in un certo senso quasi impossibile. Dicevamo, le amministrative. Saranno non più il banco di prova della tenuta della Lega verso gli (ex) alleati del PDL, quanto una sorta di conta interna, che rischia di fare implodere il partito.

Che la situazione non sia affatto cheta, dopo le dimissioni del capo, lo fanno intendere i boati contro Maroni, all’uscita dal parlamentino leghista, quando alcune decine di militanti gli hanno lanciato volantini con sopra ritratto Giuda. E lui, il capo, ha tentato di stemperare gli animi, negando che Maroni sia un traditore, ma la percezione della base è netta e contrapposta. Una parte di essa ritiene che fossero necessarie le pulizie di primavera e addossa a Bossi la responsabilità di una gestione imbarazzante delle finanze; l’altra parte, al contrario, si ritiene vittima delle ambizioni di leadership di Maroni e lo accusa senza mezzi termini di avere tradito la stessa idea di partito fino a ieri ancora in voga.

Lo fa intendere il famoso “cerchio magico” che adesso cambia tutto. Con la decapitazione del capo carismatico, infatti, la Lega Nord diventa un partito come tutti gli altri, ma se così e vero non si attenderà un solo minuto per riproporre dentro al Carroccio gli stessi meccanismi delle altre formazioni, ossia la formazione di correnti e di opposizioni interne, che faranno la guerra alla prossima segreteria, che salvo sorprese, dovrebbe essere retta proprio da Bobo Maroni.

In Parlamento si gioca un’altra partita, come avevamo già intuito con il caso Alfonso Papa, il deputato PDL, che ad oggi può essere considerato la prima vittima, in termini temporali, delle frizioni in corso da mesi tra Bossi e Maroni. Cosa faranno i deputati e i senatori del Carroccio? C’è chi ipotizza che qualcuno potrebbe fare armi e bagagli e andare via dal gruppo, ma verso dove? L’unica fortuna per i leghisti, al momento, è che gli altri stanno messi peggio di loro. Il PDL, che teoricamente potrebbe raccogliere il malcontento sia degli elettori che dei parlamentari in camicia verde, è una rissa continua, alle prese con difficoltà di tenuta interna ben più gravi.

E adesso, dopo il padre, il figlio. Perché a sentire gli umori dei dirigenti locali, pare che i maroniani vogliano chiedere la testa di Renzo Bossi, il soprannominato “Trota”. Lo dice apertamente il presidente della Provincia di Cuneo, Gianna Gancia, compagna di Calderoli, affermando che la candidatura di Renzo avrebbe creato un forte danno d’immagine al partito e per questo dovrebbe essere costretto al passo indietro.

Maroni non lo chiederà ufficialmente, anche perché si rischia di fare esplodere il Carroccio. Tuttavia, nel tempo è nelle cose che il figlio sarà allontanato dalla gestione, non tanto per il cognome, quanto per la folta documentazione che proverebbe un utilizzo distorto dei fondi del partito e sulla quale sono in corso le indagini.

Ma lo scenario è così mutevole, che la soglia di sbarramento del 5%, che dovrebbe essere introdotta nella prossima legge elettorale, inizia a fare paura dalle parti di via Bellerio. Un partito semi-scoppiato potrebbe subire la fuga dei militanti, di cui una grossa fetta sono i “duri e puri” della prima ora, i quali potrebbero decidere di non votare più, dopo che il loro leader è andato via e in questo modo.

C’è bisogno di una guida certa e unitaria. Per questo, il congresso rinviato in autunno potrebbe servire a stemperare gli animi, quando si tratterà di scegliere il successore. O al contrario rischia di arrivare troppo tardi, dopo mesi di fratelli coltelli.

 

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