Un’intervista a tutto campo realizzata dal quotidiano economico italiano “Il Sole 24 Ore” al premier greco Lucas Papademos, a capo di un governo tecnico dalla fine dell’ottobre 2011. Si tratta della prima intervista che l’uomo ha concesso a un quotidiano italiano, da quando è premier. In passato, egli è stato governatore della Banca della Grecia, per diventare successivamente vice-presidente della BCE. Il suo compito sta per scadere, visto che tra poche settimane si andrà alle elezioni anticipate e Papademos ha deciso di non candidarsi in alcun partito, né di continuare a fare il premier.
Si mostra soddisfatto del pacchetto di misure messe in atto dal suo esecutivo e dal precedente, il piano di austerità, che ha permesso alla Grecia di recuperare in un solo anno otto punti percentuali di disavanzo primario.
Ma il premier greco sottolinea come la Grecia starebbe ottenendo già un risultato molto importante per il rilancio della sua crescita futura, avendo recuperato ad oggi il 50% della competitività persa nei primi dieci anni di euro, mentre entro la fine del 2013 si prevede che essa sarà recuperata totalmente. E i primi segnali s’intravederebbero già sul fronte dell’export, che inizia a crescere a ritmi sostenuti, seppur partendo da livelli molto bassi. Ovviamente, tali risultati sono stati ottenuti con il taglio ai salari pubblici e privati, che facendo abbassare il costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP), determina un aumento della produttività e rende l’economia ellenica potenzialmente più competitiva del suo recentissimo passato.
Il premier, tuttavia, non nasconde che ancora nei prossimi mesi non si vedranno del tutto i frutti dei sacrifici dei greci. Almeno per i prossimi 6-9 mesi, afferma. Per il quinto anno consecutivo, il suo Paese si trova in recessione e dovrebbe esserlo anche nel 2013, quando nell’ipotesi migliore si potrebbe sperare in una stagnazione.
L’incognita è legata al rinnovo del Parlamento, che determinerà nuovi equilibri politici e stando ai sondaggi alla fine del bipartitismo, con i socialisti che potrebbero scendere dal 44% circa di due anni e mezzo fa a non oltre l’11 o il 12%. Per questo, Papademos ha voluto rassicurare sulla capacità e la volontà anche del nuovo Parlamento di adottare le misure di risanamento e di rilancio dell’economia, come richiesto dai partner europei. A vigilare su questi obiettivi, aggiunge, saranno i greci stessi, visto che il 70% dei cittadini vuole rimanere nell’euro, perché capisce che le riforme sarebbero molto più difficili da attuare, se la Grecia uscisse dall’Eurozona e tornasse alla dracma.
Di certo, il suo governo può vantare un risultato positivo sui conti pubblici ellenici: ha ridotto con un colpo d’accetta il debito di 107 miliardi, portandolo a circa 250 miliardi di euro. Come? Grazie allo swap tra titoli di vecchia emissione e nuovi bond da fino a 30 anni, decurtati del 53,5% del valore nominale iniziale.
Tuttavia, la più grande ristrutturazione del debito mai praticata nella storia (quella in Argentina a fine 2001 fu cinque volte inferiore) potrebbe non essere sufficiente ad allontanare il timore di un default nei prossimi mesi o anni. Lo lascia intendere chiaramente Papademos, quando afferma che non si possono conoscere le condizioni dei mercati finanziari nel 2015, quindi, nessuno è in grado di sapere oggi se la Grecia potrà tornare per quell’anno sul mercato. Per questo, potrebbero essere necessari nuovi aiuti.
E proprio qui sta il guaio di tutto il ragionamento. I 130 miliardi appena sbloccati dall’Europa, che giungono dopo i 110 miliardi già concessi nel maggio del 2010, potrebbero non essere gli ultimi in favore di Atene.
Ed è solo uno dei problemi che il vertice dell’Eurogruppo dovrà affrontare domani, quando si dovrà discutere anche della dotazione o firewall del Fondo europeo di salvataggio, l’Efsf. La questione è questa: l’Efsf dovrà essere sostituito a luglio di quest’anno dall’Esm, che sarà permanente. Si tratta di due fondi, che hanno il compito di fungere da prestatori di ultima istanza per gli stati in difficoltà. Tuttavia, senza adeguate risorse, la loro credibilità risulta affievolita sui mercati, per cui sia il Fondo Monetario Internazionale, sia tutti i Paesi del G20 extra-Eurozona chiedono a quest’ultima che venga aumentato l’importo complessivo a disposizione, altrimenti difficilmente investiranno in tali strumenti.
La Germania è contraria all’innalzamento della dotazione, perché ritiene che ciò possa comportare una riduzione di responsabilità da parte dei governi nazionali. Non ultimo, un aumento di risorse per l’Efsf e l’Esm accrescerebbe la concorrenza nelle emissioni dei titoli di stato dei singolo Paesi, con possibili ripercussioni negative su domanda e rendimenti.
Una soluzione di compromesso a cui si sarebbe giunti sarebbe questa: l’Efsf non sarebbe archiviato fin da subito, ma conviverebbe con il suo sostituto per circa un anno. In questo modo, per almeno 12 mesi si avrebbero maggiori risorse, pur senza accrescerle effettivamente, perché si sommerebbero i 200 miliardi ancora a disposizione dell’Efsf ai 500 miliardi già previsti per l’Esm. Senza contare che l’Efsf risulta con 240 miliardi ancora non erogati. Inoltre, sarebbe previsto un anticipo delle tranche per l’Esm, che saranno garantite in almeno un paio all’anno fino al 2014, in modo da portare la dotazione cash a 80 miliardi, a copertura dei 500 miliardi dell’Esm.