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Categorie: Cultura

Romanzo di una strage, Marco Tullio Giordana racconta Piazza Fontana

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Enrica Raia

Se c’è un regista capace di raccontare con rispetto la storia del nostro paese, quello è sicuramente Marco Tullio Giordana. Tracce del passato sono visibili in molti dei suoi film, dalle vicende dell’anarchico siciliano Peppino Impastato ne I Cento Passi a Pasolini un delitto Italiano, fino alla epopea cinematografica de La meglio gioventù che abbraccia 37 anni di Italia dal 1966 fino ai giorni nostri. Senza tradire la cifra stilistica della sua filmografia, Giordana torna al cinema per indagare su una delle pagine più delicate e controverse della storia italiana. Ne viene fuori “Romanzo di una strage” (in uscita il 30 marzo), una cronaca romanzata del drammatico attentato terroristico che cambiò per sempre il nostro paese.

Il 12 dicembre 1969, alle 16,37 un ordigno, composto da sette chili di tritolo, esplode nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano. Il bilancio è di diciassette morti e ottantotto feriti. Nei minuti successivi, altre tre bombe esplodono senza grandi conseguenze nella Capitale, un quarto ordigno viene trovato inesploso in Piazza della Scala sempre a Milano. Che si tratti di un piano eversivo è evidente sin da subito. I primi ad essere accusati sono gli anarchici di sinistra, ci vorranno mesi se non addirittura anni prima che venga fuori la verità, rivelando una cospirazione che lega ambienti neofascisti veneti a settori deviati dei servizi segreti. 

Nella strage di Piazza Fontana non rimasero a terra solo i corpi martoriati di diciassette innocenti, quella bomba rappresentò per l’Italia la perdita della propria innocenza e l’inizio della “strategia della tensione” che fu il prologo agli anni di piombo, quella lunga stagione di attentati e violenze durata per oltre un decennio. Il film di Marco Tullio Giordana tenta di ripercorrere l’inizio di questo pezzo tragico di storia italiana ricostruendo innanzitutto il contesto socio-politico in cui la strage di Piazza Fontana maturò, si sofferma poi sulla successiva indagine, senza tralasciare punti oscuri, depistaggi e macchinazioni politiche, e si ferma al maggio del 1972, data in cui avvenne l’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Nel mezzo della storia, c’è anche la morte misteriosa di Giuseppe Pinelli, l’anarchico pacifista contrario alle bombe “caduto” giù da una finestra della questura dove era in corso il suo interrogatorio, e in circostanze tuttora poco chiare (anche se l’inchiesta ha stabilito che non si trattò né di suicidio né di omicidio ma di “malore attivo”).

C’è una frase pronunciata dalla moglie di Pinelli al Commissario Calabresi che racchiude l’intento di questo film: «Non ho paura di dire la verità. Io, se so la verità, la dico». C’è sempre bisogno della verità, laddove manca, ecco che il cinema si assume l’impegno di portarla alla luce. Giordana fa proprio questo, riannodando i molteplici fili di una verità “ufficiosa” mai ratificata da nessuna sentenza, ma ormai largamente condivisa dall’opinione pubblica. Il merito nella sceneggiatura scritta da Giordana assieme a Stefano Rulli e Sandro Petraglia sta proprio nella sfida di cui si fa carico:  fare ordine tra l’enorme mole di indizi, ipotesi, atti processuali e testimonianze accumulatisi in anni di inchieste e processi. Il merito del film nel suo complesso invece, sta nel modo in cui il regista sceglie di rispondere a questa sfida, con equilibrio e chiarezza narrativa, e tenendo fede ad una distanza drammatica ed emotiva, tradita solo quando indugia sui volti provati dei tre personaggi chiave: Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino), Luigi Calabresi (Valerio Mastandrea) e Aldo Moro (Fabrizio Gifuni, straordinario nella sua trasformazione fisica). L’anarchico, il commissario e lo statista. Tutti e tre convinti che la pista anarchica non fosse quella giusta da seguire, tutti e tre accomunati da una fine tragica, in un certo senso diretta conseguenza di quella “Strage di Stato”.

C’era bisogno di un film su Piazza Fontana oggi? La risposta non può che essere sì. Un recente sondaggio riporta che i ragazzi di oggi ignorano cosa significhi quella strage nella storia italiana, e pensano che a piazzare le bombe furono le brigate rosse. Per questo il  film di Marco Tullio Giordana rappresenta un doveroso e necessario contributo alla memoria civile di questo paese, che aiuti chi non conosce i fatti, a non dimenticare un capitolo della nostra storia inspiegabilmente rimosso da ogni programma scolastico. Alla fine di quell’ora e mezza di visione,  ti resta dentro una grande rabbia. Rabbia perché uomini dello stato si sono macchiati le mani col sangue di innocenti e perché senza una sentenza che abbia condannato i colpevoli, Piazza Fontana, dopo 43 anni, resta una strage impunita; ma sull’altro piatto della bilancia c’è la consapevolezza di esserti arricchito, di aver conosciuto qualcosa che magari ignoravi della storia di questo paese, e una grande voglia di capirne ancora di più. Questo era l’obiettivo di Giordana, ed è stato centrato in pieno.

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Enrica Raia