USA, Santorum chiede a Gingrich di ritirarsi. Romney in difficoltà

Si fa sempre più ingarbugliata la sfida per le elezioni primarie del Partito Repubblicano negli USA. Sono due gli eventi elettorali che hanno determinato i dubbi degli osservatori sulle potenzialità di Mitt Romney, ad oggi considerato il frontrunner da battere: il voto al Supertuesday del 6 marzo, dove sono andati alle urne dieci stati e tra cui Romney si è imposto solo su sei; la vittoria a sorpresa dell’italo-americano Rick Santorum in Mississipi e Alabama, dopo avere già ottenuto importanti vittorie in tre stati durante il Supertuesday, oltre che nello stato di Washington.

La questione gira tutta intorno al numero dei delegati necessari ad ottenere la maggioranza alla convention di Tampa Bay, in Florida, a fine agosto. Il numero magico è 1.144, ossia la metà più uno dei 2286 delegati complessivi. Non sono in pochi a ritenere che di questo passo Romney possa anche non ottenere la maggioranza, di fatto dando vita a una cosiddetta “brokered convention”, dove nessuno ha i numeri sufficienti per essere investito della nomination ufficiale del partito, in assenza di un accordo politico con almeno uno degli altri candidati.

E proprio questa prospettiva potrebbe determinare quella situazione che gli osservatori definirebbero la “profezia che si autorealizza”. Infatti, nella stessa serata in cui Santorum vinceva le primarie in Alabama e Mississipi, non senza un pizzico di stupore, il candidato ultra-conservatore prendeva atto della caduta di Gingrich, invitandolo a ritirarsi dalla corsa, per compattare l’elettorato della destra, così come avrebbero chiesto gli stessi sostenitori con il voto. E, in effetti, si era proprio sparsa la voce che Newt Gingrich, ex speaker alla Camera tra il 1995 e il 1999, stesse per annunciare il suo ritiro, al fine di sostenere Santorum, in funzione anti-Romney.

A conti fatti, la scelta di Gingrich potrebbe determinare il successo dell’italo-americano in tutti quei stati in cui la differenza tra lui e Romney è di pochi punti, cioè come quasi in tutti quelli in cui si è votato sinora. Questo ritiro sarebbe prodromico a un possibile ticket con Santorum, nel caso questi ottenesse la nomination.

Tuttavia, di mollare Gingrich non ne avrebbe per niente voglia, come ha dichiarato un’intervista a Fox News, nella quale l’uomo ha sfogato la sua frustrazione per non essere compreso dall’elettorato, conseguenza a suo dire di una campagna oscurantista, che lo avrebbe privato della possibilità di comunicare le sue idee al popolo americano.

Ma c’è di più. Gingrich, che non a caso tra i suoi soprannomi ha “volpe” (e parlando a una rete che si chiama “Fox” o “Volpe”!), ha paventato l’ipotesi che alla convention di agosto nessuno avrà la maggioranza e che, quindi, si dovrà cercare un accordo tra candidati per la nomination. Alla domanda se ciò significhi la possibilità che sostenga Romney, in qualità di suo vice, il candidato non lo ha escluso.

E proprio dalla sua decisione dipendono le sorti della campagna dell’ex governatore del Massachussetts. Il suo ritiro gli complicherebbe maledettamente la strada, perché porterebbe molta acqua al mulino di Santorum, l’inseguitore che rischia per lui di trovarsi a tratti anche frontrunner.

Possibile che dietro alla decisione di Gingrich di restare non ci sia già un sotto-accordo con Romney? Meglio, che sia stata la stessa dirigenza nazionale del GOP a chiedergli di restare, per fare il gioco di Romney, in cambio di un coinvolgimento nella campagna presidenziale vera e propria, magari con una posizione di prestigio? Non dimentichiamo che Gingrich è uomo di partito, avendolo guidato per anni. E non è un mistero sin dall’inizio che il il quartier generale del Partito Repubblicano non veda di buon occhio candidature forti e alternative a quelle di Romney, considerato l’unico in grado di battere Barack Obama il 6 novembre prossimo. Inoltre, l’obiettivo del GOP sarebbe di fare sì che la maggioranza dei delegati possa essere conquistata al più presto, in modo che Romney possa successivamente concentrarsi solo sulla sfida contro Obama.

A destare allarme è poi anche un articolo del “New York Times”, dove si riporta l’opinione di diversi finanziatori di Wall Street per Romney, frustrati dall’allungamento eccessivo dei tempi di questa campagna e per i frequenti flop del loro candidato. E i dollari della borsa americana hanno finora avuto un ruolo determinante nel tenere a galla la forza mediatica del candidato.

Prossimo test sarà domenica, quando sarà chiamata a votare Portorico, protettorato americano extra-territoriale, che manderà alla convention 23 delegati. La polemica è stata scatenata da una dichiarazione di Santorum, che interpellato sulla possibilità che presto il territorio diventi a tutti gli effetti il 51esimo stato americano, si è detto favorevole, ma a patto che si rispettino tutte le leggi federali, compresa la lingua ufficiale inglese. E’ rinomato, infatti, che a Portorico si parli lo spagnolo, sebbene la popolazione locale sia desiderosa di fare parte dello stato a stelle e strisce.

Un’eventuale batosta pure qui metterebbe in serissimo dubbio la credibilità già vacillante di Mitt Romney, sebbene mostri un vantaggio lieve su Obama nei sondaggi nazionali.

 

 

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