Disastro Bersani. Segretario PD a rischio dopo sconfitta primarie Palermo

Adesso, basta. Ma come fa il Partito Democratico a tenersi in segretario così disastroso? A conti fatti, Pierluigi Bersani dovrebbe essere considerato il maggiore alleato del centro-destra, perché se si rispolvera la storia dei suoi due anni e mezzo alla segreteria del partito, troviamo che essa è costellata da sconfitte ed errori, che in grossissima parte sono da annoverare alla sua incapacità di azzeccarne una. Non ha capacità di leadership, in quanto la base non lo ritiene tale, ma semmai appare più come uomo dell’apparato, funzionale alla gestione delle scartoffie romane, ma lontano anni luce dal sentimento dei propri elettori.

La goccia che in queste ore starebbe facendo traboccare il vaso è quella delle primarie di Palermo, dove in primavera si vota per il sindaco. Dopo avere perso in tutte le primarie delle città importanti, Bersani ha pensato bene di giocare la carta della furbizia, sostenendo cioè il candidato di Sinistra e Libertà, che nelle altre occasioni si è quasi sempre imposto su quello del PD stesso.

E così, due giorni fa si è arrivato al “capolavoro” di Bersani, per cui il PD indicava di votare un candidato di Sel, nella fattispecie Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso, contro Fabrizio Ferrandelli, ex Idv, ma oggi appartenente al PD. Un paradosso, che ha ancora una volta sottolineato l’incapacità di Bersani di capirci qualcosa. L’esito delle primarie, infatti, ha premiato Ferrandelli, il “ribelle” sostenuto anche dal sindaco fiorentino e rottamatore Matteo Renzi, vedendo sconfitta l’antipatica e radicale Borsellino, soprannominata in Sicilia anche “Nonna Papera”. Quest’ultima, come è nel suo stile, ha gridato subito ai brogli, pretendendo che le schede siano ricontate.

In ogni caso, si è trattato di un’umiliazione senza pari per il PD, che si trova nella situazione paradossale di dovere sostenere le ragioni di un candidato della sinistra radicale, contro quelle di uno del proprio partito.

Ma a questo punto, la tensione è molto alta a Roma, così come a Palermo. A differenza delle volte precedenti, Bersani rischia davvero il posto ed è lo stesso senatore siciliano Beppe Lumia, sostenitore di Ferrandelli, il quale non esclude che possano essere chieste già oggi le dimissioni.

Al momento, la minoranza interna, guidata dall’ex segretario Walter Veltroni e da Enrico Letta, non si è espressa sul caso, né tanto meno ha chiesto che Bersani si dimetta. Si vocifera che sia abbia intenzione di rosolarlo ancora un pò a fuoco lento, nel tentativo di abbatterlo nei prossimi mesi, specie quando sarà trovata una posizione comune sul destino che il PD avrà in uno scenario molto mobile della politica italiana, che passa per il sostegno o meno a un governo di larghe intese anche dopo il 2013.

Ma per capire come mai Palermo rischi di essere la Waterloo di Bersani, bisogna ritornare ai precedenti illustri dell’ultimo anno. Parliamo delle amministrative del 2011, quando si va al voto in città di grosso peso, come Milano e Napoli. Nella prima, Bersani e il PD sostengono il candidato Stefano Boeri, mentre Sel piazza Giuliano Pisapia, che vince prima le primarie e poi le elezioni comunali, portando clamorosamente a Palazzo Marino un sindaco comunista, con il PD a rimorchio.

Stessa situazione a Napoli, dove il PD appoggia Andrea Cozzolino, sconfitto da Luigi De Magistris, candidato dell’Italia dei Valori. Anche in questo caso, il candidato uscito vincitore dalle primarie di coalizione diventa sindaco.

Un mese fa, la Caporetto del Partito Democratico si chiama Genova. Qui, il capolavoro di Bersani e della sua segreteria è anche più completo e per questo più stucchevole. Il sindaco uscente Marta Vincenzi viene mollato dalla segreteria romana, per via di una linea autonoma mostrata nei cinque anni di amministrazione. Le si candida contro Roberta Pinotti, esponente molto degno e umanamente indiscutibile del PD, che però viene avvertita in città come candidato dell’apparato centrale. Risultato: Vincenzi e Pinotti si spartiscono gli stessi voti e al loro posto vince Marco Doria, candidato indipendente, ma che era stato sostenuto, nei fatti, da Nichi Vendola.

In sostanza, Bersani non ha avuto alcuna capacità di puntare su anche solo un candidato giusto nelle varie realtà urbane di peso in cui si è votato e solo la vittoria della coalizione del centro-sinistra non ha trasformato questi errori in un boomerang elettorale, sebbene ciò abbia rinvigorito lo scomodo alleato della sinistra radicale, che ruba spazi politici enormi al PD e si sta progressivamente legittimando e sostituendo ad esso, a livello di amministrazioni locali.

Se dall’altra parte non ci fosse stato in questi mesi il cataclisma di un PDL allo sfascio e allo sbando totale, oggi parleremmo di crisi del PD ben più di quanto abbiamo fatto con la segreteria funesta di Veltroni.  Non è un caso che sia proprio questi ad essere il più ringalluzzito dalle tegole che pendono sulla testa del segretario, puntando a riconquistare il partito, che oggi sta messo forse peggio di come egli lo lasciò tre anni fa.

 

 

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