Vladimir Putin, 60 anni, attuale premier russo e già due volte presidente della Federazione Russa ha stravinto le elezioni presidenziali di ieri con il 63,75% dei voti, pari a 45,1 milioni di voti. Molto buona anche l’affluenza, pari al 65,3% dei 110 milioni di russi che avevano diritto al voto. E’ già stato proclamato vincitore ufficiale e il suo insediamento al Cremlino per la terza volta è previsto a maggio. Al secondo posto è arrivato l’eterno sconfitto leader dei comunisti, Gennady Ziuganov, che ha riportato il 17,1% dei consensi. Seguono l’oligarca Mikhail Prokhorov, che ha ottenuto un buon 7,8% e che annuncia di costituire un nuovo partito della destra liberista; briciole per l’ultra-nazionalista Vladimir Zhirinovski e per il leader del centro-sinistra Serghei Mironov.
Sorpresa a Mosca. Nella capitale, il capo del governo non ha ottenuto il 50% dei voti, mentre Prokhorov si è attestato intorno al 20%, appena sopra il leader comunista. La dimostrazione che Putin vince, soprattutto, nelle aree periferiche, mentre gli oligarchi e il centro-sinistra sono più forti nelle grandi città.
Il premier, a spoglio molto inoltrato, quando era chiara la vittoria netta su tutti gli avversari, si è materializzato davanti al Cremlino, insieme al presidente uscente Dmitri Medvedev, lasciandosi scappare una lacrima di commozione e ringraziando tutti i russi che lo hanno votato, anche quelli delle zone più remote. Ad ascoltarlo c’erano 100 mila sostenitori, che hanno gridato il suo nome e hanno festeggiato la sua rielezione. Un vero sospiro di sollievo per quanti temevano non certo la sconfitta, ma quanto meno il ricorso al ballottaggio per ottenere la vittoria. Cosa che non c’è stata, a conferma che la forza elettorale e politica di Putin non è stata poi così scalfita dalle proteste rumorose delle piazze, dopo il voto per il rinnovo della Duma del 4 dicembre.
Certo, gli oppositori sono tutt’altro che arresi. Lo stesso combattivo Ziuganov ha affermato che il voto sarebbe frutto di numerose illegalità. Se ne conterebbero almeno 5 mila, secondo le opposizioni, che hanno annunciato di scendere in piazza Pushkin, per gridare la loro indignazione per i presunti brogli.
E le irregolarità ci saranno state davvero. Tuttavia, secondo una rilevazione degli osservatori di Golos, anche al netto dei brogli, Putin avrebbe vinto lo stesso al primo turno, sebbene con un margine molto risicato, ottenendo il 50,28% dei voti. E forse sta tutto qua il significato di quanto è accaduto ieri, così come il 4 dicembre. La “verticale del potere” è incline ai brogli e ai sotterfugi, per assicurarsi la sopravvivenza, ma non sono questi trucchi ad essere determinanti per i risultati. Putin e i suoi uomini vincerebbero comunque, sebbene dovrebbero confrontarsi con dati meno entusiasmanti.
Anche ieri ha prevalso la logica dell’ordine e della sicurezza contro le invocazioni teoriche alla democrazia. Non esiste forse una Russia più sensibile all’uno o all’altro valore, bensì una Russia consapevole che senza Putin e la sua verticale del potere non ci sarebbe più democrazia, ma il rischio di ripiombare nel caos post-crollo dell’ex Urss, quando una democrazia sulla carta consentì a un centinaio di personaggi perfettamente sconosciuti di arrivare ai vertici del potere politico ed economico, utilizzando il primo per il secondo e senza alcun merito, se non quello di essere prevalsi secondo i criteri della giungla.
Putin non è un difensore dei deboli contro lo strapotere degli oligarchi, ma da quando è al Cremlino o al governo, per lo meno è riuscito a porre un freno agli arricchimenti da rapina e ha costretto pochi ultra-potentati economici a sottomettersi al potere istituzionale, non già di governarlo.
E’ ovvio come tutto ciò passi per un indebolimento dei diritti politici e spesso personali. Lo dimostra il caso Khodorkovskij, l’ex magnate del petrolio in carcere dal 2003 per frode e che dovrebbe rimanere in cella fino al 2016. Nelle ultime ore, per lui e per un’altra trentina di cosiddetti “prigionieri politici” si è aperto lo spiraglio di una scarcerazione anticipata, grazie a una decisione in tal senso del presidente Medvedev, che forse in accordo con Putin vorrebbe così anche alleggerire la tensione intorno alla questione del trattamento degli oppositori politici.
Di certo c’è da ora in poi non saranno unite nemmeno le opposizioni, con Prokhorov che ha mostrato titubanza sull’eventualità di tornare in piazza, limitandosi ad annunciare di lavorare alla costruzione di un suo partito.
Un’altra certezza è che di fronte alla tenuta dei consensi per Putin, che qualcuno auspicava intorno al 50%, non esiste una vera forza di opposizione, se non i soliti comunisti nostalgici del bolscevismo dell’Unione Sovietica. Un terzo degli elettori, circa il 4% in più delle scorse presidenziali, non si è recato in uno dei 93 mila seggi, a conferma del fatto che il malcontento non sia stato capitalizzato da alcuna forza politica alternativa a Putin.
Quest’ultimo dovrà adesso fronteggiare un ulteriore periodo di proteste, come ieri hanno preannunciato i blogger scatenati contro la sua rielezione. Ha, però, di fronte a sé sei anni, per cercare di guidare la Russia verso un orizzonte più stabile e condiviso.