E’ stata una giornata davvero positiva per i nostri titoli di stato. Oggi, il Tesoro ha collocato un quantitativo ingente di bond, in tutto 12,25 miliardi. In sostanza, sono stati piazzati 8,75 miliardi di BoT a sei mesi e 3,5 miliardi di BoT flessibili a dieci mesi. In linea con le attese, i rendimenti hanno registrato un calo, rispetto all’ultima asta di fine gennaio, ma la nota molto positiva è l’entità di tale calo. I titoli semestrali hanno riscontrato una domanda pari a 1,36 volte in più l’importo offerto, esitando un rendimento di appena l’1,20%, contro l’1,969% di un mese fa, quando pure risultava in deciso calo dalle aste precedenti. Per avere un dato così basso bisogna risalire al settembre 2010, ossia almeno cinque-sei mesi prima dello scoppio della crisi speculativa contro i nostri bond.
E’ proprio questo l’aspetto positivo. E’ come se gli investitori stessero riacquistando decisamente la fiducia nei nostri titoli del debito pubblico, i quali mostrano nella parte corta della scadenze rendimenti ormai normalizzati, ossia in linea con i livelli pre-crisi.
Lo stesso è accaduto con i BoT flessibili, che hanno riscontrato richieste per 2,19 volte in più la cifra collocata e per un rendimento medio lordo di appena l’1,29%. Se si pensa che siamo vicini alla scadenza annuale, ci rendiamo conto come molto probabilmente la prossima asta di BoT a un anno potrebbe esitare un rendimento decisamente inferiore al 2%, di fatto nella norma. Complessivamente, quindi, la domanda è stata di circa 19,5 miliardi, un dato ritenuto molto buono da parte degli analisti.
Ne ha risentito positivamente anche lo spread, che si tiene in zona 358 punti base, sebbene bisogna ricordare come la scorsa settimana il differenziale tra i rendimenti decennali dei nostri bond pubblici e di quelli tedeschi fosse sceso a meno di 340 punti base. In effetti, per capire come la situazione non si sia normalizzata sui mercati finanziari, basta guardare ai rendimenti tedeschi o anche francesi per le stesse scadenze.
La Germania continua a offrire un tasso intorno allo zero per i titoli annuali, mentre gli Schatz a due anni danno un miserrimo 0,25%, contro il 3% dei CTz italiani. A dire il vero, guardando alle scadenze brevi, l’anomalia non siamo più noi, bensì i titoli tedeschi, che per effetto dei timori non svaniti sul mercato, continuano ad essere considerati beni-rifugio per gli investimenti, con gli investitori che rinunciano al rendimento, pur di piazzare al sicuro i loro risparmi.
Sotto il profilo dei conti pubblici, tuttavia, non è lo spread che rileva, ma il livello assoluto dei tassi con cui ci indebitiamo. Lo spread è un dato differenziale, ci dice come si attestano i nostri rendimenti, rispetto ai benchmark tedeschi. Tuttavia, al momento, sulle scadenze brevi, a fronte di un differenziale ancora piuttosto alto, la remunerazione richiesta dagli investitori è in linea con quanto avveniva prima della crisi. Semmai, un certo margine di rientro dobbiamo compierlo per le scadenze più lunghe. Potremmo veramente affermare di essere usciti dalla crisi speculativa, quando sul decennale pagheremo un interesse stabilmente intorno al 4,7%, che dovrebbe nei prossimi mesi corrispondere a uno spread di circa 170-200 punti base.
Ma la risposta di Piazza Affari non è stata positiva, a dimostrazione come oggi fossero altri gli aspetti ad influire sulle contrattazioni. Due in particolare. Il G2o in Messico è stato un fallimento, perché non è stata trovata alcuna soluzione al problema della dotazione del firewall europeo anti-crisi. Tutti i ministri finanziari hanno chiarito che saranno disposti ad investire i loro quattrini nel nostro fondo, a condizione che l’Eurozona compia il primo passo.
La Germania frena, sostenendo che le risorse già stanziate sarebbero sufficienti a coprire eventuali altri focolai di crisi e limitandosi a concedere che l’Efsf, ossia il Fondo di salvataggio temporaneo, sia accostato al suo successore Esm, quello permanente, in modo da portare la dotazione complessiva delle risorse a 750 miliardi di euro. Per questo, se ne riparlerà al G20 di marzo, ma è indubbio che i mercati siano rimasti delusi da quanto accaduto.
Ci sono poi le dichiarazioni del cancelliere tedesco Angela Merkel, rese stamane al Bundestag. Frau Merkel ha sostenuto davanti ai deputati tedeschi che non ci sarebbe alcuna garanzia del 100% che gli aiuti alla Grecia abbiano successo. L’Europa ha compiuto un grande passo in avanti verso Atene, ma il capo del governo di Berlino non sarebbe poi così certa che l’esecutivo greco sia in grado di mantenere le promesse.
Sullo sfondo restano le polemiche innescate dalle dichiarazioni del ministro dell’Interno, Hans-Peter Friedrich, rese a “Der Spiegel”, secondo cui nessuno potrebbe costringere la Grecia a uscire dall’Area Euro, ma tuttavia sarebbe auspicabile che la Grecia fosse incoraggiata a farlo.
Le parole dei due esponenti tedeschi hanno riportato i mercati con i piedi per terra, perché hanno evidenziato come il default greco non sia stato affatto scongiurato, dipendendo da come Atene risponderà alle sollecitazioni europee. Parole di apprezzamento, invece, sono state espresse dalla Merkel per l’Italia, sia per le misure intraprese sul risanamento, sia per migliorarne la produttività interna.