Durano ormai da quattro giorni le violente proteste in Afghanistan, dopo il rogo delle copie del Corano nella base Usa di Bagram. Il bilancio dei morti sale a 12, mentre 50 sono i feriti fin’ora confermati. Le proteste più violente si stanno concentrando nella zona di Herat, quella controllata dai militari italiani. Secondo le fonti, ci sarebbero dei morti anche nella provincia di Khost.
Gli italiani per ora non sono stati coinvolti in incidenti con i manifestanti, che si sono concentrati ad attaccare l‘ambasciata degli Stati Uniti. La città di Herat è sotto il diretto controllo degli afgani, perciò la sicurezza spetta alle autorità locali, che al momento non hanno richiesto l’intervento dei soldati Nato. Le due basi italiane, cioè quella del Prt (Team di ricostruzione provinciale) e quella di Camp Arena, non sono state attaccate dai manifestanti. Anche le altre basi italiane nella regione occidentale sono al sicuro.
Per il resto, la violenta ondata di proteste si è diffusa in tutto il Paese, coinvolgendo almeno sei province. L’odio verso gli Stati Uniti è stato fortemente alimentato dal gesto sacrilego compiuto a Bagram: ieri è stato costretto ad intervenire il presidente Barack Obama, che ha scritto un messaggio rivolto ad Hamid Karzai, attuale presidente eletto dell’Afghanistan. “Desidero – ha scritto Obama – esprimere il mio grande rammarico per l’incidente segnalato. Rivolgo a Lei e al popolo afghano le mie più sincere scuse”.
Intanto Emergency ha dichiarato: “A Kabul, le manifestazioni di protesta per i Corani bruciati sono state represse con la violenza”. Questa la testimonianza dell’organizzazione umanitaria fondata da Gino Strada, che ha accolto nel suo ospedale di Kabul sette persone ferite. Tutti e sette i feriti erano stati colpiti da armi da fuoco; uno di essi è deceduto all’arrivo in ospedale.