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Svelati i segreti della moderazione di Facebook: censurato il seno ma non il sangue

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Giuseppe Di Spirito

E’ sempre all’ordine del giorno, tra gli iscritti a Facebook, l’argomento della censura e della segnalazione di “contenuti inappropriati”, fonte spesso di vere e proprie faide tra utenti che si fronteggiano per stabilire cosa è lecito condividere o meno, con successive rappresaglie che mirano a far scomparire dal social network più diffuso al mondo quelle immagini, video, o addirittura scritti che non piacciono. Di certo, la gestione di 800 milioni di utenti sparsi per il pianeta non è un compito semplice, specie per le diverse soglie di tolleranza, sia individuali che “collettive”, che magari variano di molto a seconda dell’ubicazione geografica. Se, come è noto, esistono dei generici “termini di utilizzo” che si accettano al momento dell’iscrizione, impegnandosi ad esempio a non pubblicare materiale che sfoci in istigazioni all’odio, che contenga violenza esplicita o pornografia e così via, la verità dietro tutto questo era fino ad oggi ignota.

Una inchiesta del sito Gawker.com ha finalmente svelato molti lati oscuri della moderazione dei contenuti su Facebook, partendo proprio dal fatto che per la mole eccezionale di materiale segnalato quotidianamente, è stato necessario appaltare il servizio ad un fornitore esterno, attraverso il sito oDesk, ed utilizzando impiegati residenti in paesi come Turchia, Filippine, Messico, India, Marocco, aizzando anche una polemica su un possibile sfruttamento di manodopera “da terzo mondo”. Le linee guida su cui far muovere questi operatori sono infatti venute alla luce grazie al malcontento di un collaboratore marocchino (che parrebbe esser stato pagato la modica cifra di 1 euro all’ora) che ha deciso di diffonderlo in seguito alla sua spiacevole esperienza lavorativa.

Illustrati in meno di venti pagine di un manuale denominato “Abuse Standard Violations”, tanti sono gli esempi che indicano come comportarsi in seguito alla segnalazione allo staff di contenuti “ambigui”, ma in diversi punti l’eccessiva rigidità della condotta da tenere ha suscitato numerose polemiche. Alcuni ricorderanno le proteste dei movimenti omosessuali, che l’anno scorso avevano reclamato per la rimozione di un bacio gay, mentre é più recente il caso di Marco Pusceddu, utente italiano che ha organizzato una vera e propria adunata su Facebook contro la sua stessa “censura occulta”, dopo aver pubblicamente denunciato la sparizione, all’interno di una pagina contro il razzismo, di una immagine rappresentante una donna di colore a seno nudo che allatta un bimbo bianco. E non sono rari i casi in cui insieme alla rimozione del contenuto vengano anche sanzionati gli account stessi che l’hanno condiviso, penalizzazione che può arrivare anche alla disattivazione dal social network, così come rischiato anche dal gruppo femminista Ucraino “Femen”, che ha deciso di pubblicare le foto delle sue attiviste in versione “adattata” a Facebook, usando dei loghi per coprire principalmente il seno ed evitare guai.

In effetti, ciò che si riteneva ormai leggenda metropolitana è grossomodo la realtà, visto che nel manuale ci sono diverse categorie di “attenzione”, e stupisce che effettivamente le mamme che allattano “senza vestiti” vengano considerate da bandire assimilandole di fatto agli eccessivi turpiloqui o attività sessuali esplicite. Si sfocia quasi nel bigotto specificando che il petto nudo maschile viene considerato ok mentre quello femminile no, ma attività “soft” come i baci vanno bene, anche quando tra individui dello stesso sesso, mentre gran cautela su immagini sessuali di bambini, caso che rientra tra quelli che richiedono una “indagine più approfondita”, non si capisce se propedeutica all’interessamento delle autorità competenti.

Curiosa l’attenzione verso rappresentazioni di gente “ubriaca”, o deformata con “photoshopping”, ed in generale sull’ostentazione di stupefacenti “in contesti non scientifici” (ovviamente vietata) mentre meno rigidità sembra esserci sulla violenza, visto che scene truculente hanno il via libera, a prescindere dal sangue mostrato, finchè non riguardino “organi interni”. La fiera del paradosso, insomma, che però non è da prendere alla leggera sia per gli utilizzatori che per chi è deputato alla moderazione e sembra vivere un certo disagio: “Ho lasciato per preservare la mia sanità mentale a seguito delle immagini orrorifiche che ero costretto a vedere” ha rivelato un ex-operatore al sito web che ha curato l’inchiesta.

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Giuseppe Di Spirito