Nelle ultime settimane non sono pochi i commentatori politici che sono rimasti a dir poco stupiti dalla nuova fase dell’ex premier Silvio Berlusconi, che alla fine del 2011, dopo le sofferte dimissioni da capo del governo e le critiche alla manovra del successore Mario Monti, sembrava sul punto di negare il sostegno al nuovo esecutivo, per puntare a nuove elezioni politiche anticipate in primavera, facendo leva sul malcontento popolare molto forte nel Paese per via della crisi economica e per la stretta fiscale, che stanno attanagliando le famiglie.
Invece, come sempre capita con il leader del PDL, è diventato imprevedibile da un mese a questa parte e sembra propendere ormai apertamente per l’appoggio al governo Monti fino alla fine della legislatura, spiazzando soprattutto i suoi stessi uomini, oltre che i quotidiani a lui vicini.
Ma cosa è successo e cosa sta cambiando la linea politica dell’ex presidente del consiglio? Per prima cosa, Berlusconi avrebbe preso atto che portare il Paese alle urne sarebbe un esercizio dannoso ed inutile. Dannoso, perché i mercati potrebbero percepire negativamente tale scelta, tornando a infiammarsi, con la conseguenza che la responsabilità di una nuova crisi finanziaria gli verrebbe fatta addebitare e il nuovo governo dovrebbe gestire una situazione ancora più pericolosa. Già, ma quale governo? I numeri sono chiari. Oggi come oggi, il PDL non vincerebbe di sicuro le elezioni e andrebbe all’opposizione, magari vedendosi come maggioranza un’inedita alleanza PD-UDC, in prosecuzione dell’esperienza attuale, contro un PDL giudicato irresponsabile dai centristi.
Ma c’è di più. Le nuove elezioni rischierebbero di essere inutili, sia perché ormai è a tutti evidente che senza riforme istituzionali e della legge elettorale si ripiomberebbe nella paralisi della Seconda Repubblica, sia perché lo stesso Berlusconi avrebbe maturato l’idea che il suo partito non possa più essere riformato, va semplicemente abbattuto o ricostruito. Sì, è proprio così. L’insofferenza dell’ex premier verso la sua stessa creatura è palpabile, sebbene abbia sempre smentito di pensare a un nuovo soggetto politico, limitandosi a parlare di cambio del nome e cose simili. Ma non è così.
Berlusconi lavora da giorni alla costruzione di un partito nuovo, da affiancare al PDL, nella consapevolezza che i voti in uscita da esso non possano più essere recuperati, se non, appunto, da un soggetto politico di nuovo conio e che metta insieme il nocciolo duro dei berlusconiani, con a fianco nuove leve della società civile, capaci di radicare il partito sul territorio.
In questa direzione starebbe lavorando, ma avrebbe bisogno di tempo, perché se si votasse in primavera non ci sarebbe tempo e spazio per presentare il nuovo soggetto, dovendosi accontentare di portare alle urne il vecchio carrozzone del PDL, che non funziona né come classe dirigente, né nei meccanismi.
Per questo, il progetto di Berlusconi prevede di sostenere strumentalmente Monti fino al 2013, cosa che gli consentirà di potere contribuire al varo delle riforme, che ora si preannunciano sempre più vicine a quelle da sempre auspicate dal centrodestra, ma mai realizzate, a causa dei veti interni allo stesso PDL, oltre che degli ex alleati.
Il primo passaggio concreto del nuovo corso berlusconiano è la riforma della legge elettorale. Qui si gioca una partita molto importante, da cui dipendono i destini delle future alleanze. Oggi, a “La Telefonata”, la striscia mattutina di “Mattino 5” su Canale 5, condotta da Maurizio Belpietro, Berlusconi ha chiamato in studio e ha affermato che la Lega Nord andrà da sola alle elezioni amministrative di primavera, perché cerca di consolidare la sua identità, ma chiarendo che ciò non significhi necessariamente una rottura definitiva dell’alleanza tra PDL e Carroccio.
Che ne dica, in realtà, anche il presidente Berlusconi starebbe ormai studiando a uno scenario alternativo, che passa per una legge elettorale, che preveda il ritorno a un proporzionale senza alleanze pre-determinate, ma con soglia di sbarramento più alta (intorno al 5%) e collegi di non più di 8-10 deputati, che assegnerebbero maggiore forza parlamentare ai grossi partiti come PDL e PD, consentendo loro o di governare da soli (improbabile con queste percentali) o comunque di gestire successivamente alle elezioni la nascita di alleanze, ma da posizioni di forza. Dal canto suo, il PDL si presenterebbe davanti al Carroccio con un “prendere o lasciare”, continuando a coltivare un dialogo diretto con i centristi, considerati più affidabili e presentabili alla pubblica opinione.
Difficilissimo che in questo anno che ci rimane fino alla fine della legislatura si riesca nell’intento di realizzare le riforme istituzionali. Per questa ragione, Berlusconi non escluderebbe di farle nella prossima legislatura, ma insieme al PD, per costruire un’architettura condivisa, che garantisca governabilità e semplifichi il quadro politico. Nessuno rimpiange questa Seconda Repubblica, che altro non è stata che la prosecuzione morente della prima. Non si esclude neppure la creazione di un governo di larghe intese, ma non tecnico, ossia affidato alla guida di una qualche personalità politica condivisa dai due maggiori partiti, che porti l’Italia definitivamente fuori dalle secche di una crisi infinita.