Sono le primarie più pazze del mondo quelle che si tengono da un mese e mezzo negli USA per il Partito Repubblicano. Gli elettori di centrodestra sono chiamati a scegliere l’anti-Obama, da schierare alle elezioni presidenziali del prossimo 6 novembre. La corsa è partita ufficiosamente nel maggio del 2011, quando l’ex speaker della Camera, Newt Gingrich, con un annuncio via web comunicò di volere scendere in campo per la nomination. Come spesso capita in questi casi, ci fu un pò di rumore per la notizia, poi il nulla. L’attenzione mediatica di tutti questi mesi si è concentrata soprattutto sull’ex governatore del Massachussetts, Mitt Romney, considerato da sempre il probabile vincitore della lunga corsa per la nomination.
Eppure, i sondaggi hanno sempre evidenziato un dato: Romney vince per rassegnazione, non per convinzione. Ogni qualvolta è spuntato fuori un qualche candidato più vivace, dai tratti più riconoscibili per la base conservatrice, Romney è stato sempre spodestato negli stessi sondaggi da altri. Prima dal governatore texano Rick Perry, poi dall’imprenditore afro-americano Herman Cain, poi ancora da Newt Gingrich. Questo, prima che iniziasse il voto vero e proprio.
Ma quando il 3 gennaio scorso sono iniziate le primarie con il voto in Iowa è stato ben chiaro che la sfida sarebbe stata molto più dura del previsto per Romney, non essendo nemmeno detto che alla fine ce la farà. Perché a guardare bene i dati, il vero front-runner non è più lui, bensì quel Rick Santorum, che fino a pochissime settimane fa era praticamente sconosciuto ai suoi stessi, ma che con la vittoria in Iowa (mai assegnata ufficialmente) ha trovato un trampolino di lancio per farsi strada tra i vari protagonisti del GOP. Da allora, ben quattro stati sono andati a lui, tre a Romney e uno a Gingrich.
Cattolico fervente, ultra-conservatore e di origini italiane (il nonno era un minatore dalla Lombardia), Santorum si sta imponendo sempre più nei dibattiti per la sua capacità di fare presa sull’elettorato più di destra, quello più conservatore, alla ricerca di un Partito Repubblicano meno legato all’establishment e più alle famiglie dell’America profonda.
Finora, dicevamo che la rassegnazione ha prevalso sulla convinzione, perché in gioco c’è la Casa Bianca e il rischio per gli elettori di destra è di trovarsi un candidato per loro perfetto a sfidare Obama, ma che poi perda contro di lui, perché non sarebbe in grado di conquistare il voto centrista. Ma i sondaggi adesso dicono che Romney non partirebbe più avvantaggiato su Obama, come fino a metà gennaio; al contrario, sarebbe sotto di 6-8 punti percentuali, gli stessi che separerebbero Santorum da Obama.
Il ragionamento che starebbero allora facendo gli elettori è questo: se tutti e due partono svantaggiati dello stesso livello, allora tanto vale schierare il candidato del cuore, non quello freddo del calcolo ragioneristico. Ed è così che Romney, non potendo più farsi forte di una sua maggiore forza nel battere l’avversario democratico, inizia a soccombere nei sondaggi contro l’italo-americano.
Sono due le ultime rilevazioni di voto, che indicherebbero un lieve vantaggio di quest’ultimo sull’ex governatore del Massachussetts. Gallup assegna su base nazionale il 32% a Santorum e il 30% a Romney. Analoghi i dati di Pew Research Center, che hanno i due rispettivamente al 30% e al 28%. In termini statistici, la differenza è nulla. Tuttavia, se guardiamo al trend, è evidente che il primo è in ascesa, mentre per Romney si starebbe materializzando la seconda sconfitta consecutiva, dopo quella del 2008, quando dovette soccombere contro McCain.
C’è ancora un dato che meriterebbe una riflessione. In termini di candidati ancora in lizza, Santorum potrebbe espandere il suo bacino elettorale, qualora Newt Gingrich decidesse di ritirarsi dalla corsa. In effetti, entrambi pescano voti nella stessa area ed entrambi sono cattolici (l’ultimo è convertito dal 2009) con una base di consenso forte tra l’elettorato protestante e battista del sud.
Le potenzialità di Romney, invece, sembrano davvero essere limitate ai quattrini che gli provengono dai finanziatori di Wall Street, che lo vedono come il candidato loro più favorevole in vista delle presidenziali.
I conservatori come Gingrich e Santorum, al contrario, trovano il loro consenso proprio tra la classe media in rivolta contro la finanza, anche se Santorum in un comizio da Washington ha attaccato duramente il movimento “Occupy Wall Street”, legato agli ambienti liberal della sinistra americana.
Adesso, le speranze di Romney sono legate al voto in due caucus di fine mese, quelli in Michigan e Arizona. Entro il 28 febbraio sapremo se sarà in grado di superare il test del Super-Tuesday del 6 marzo prossimo, quando quasi tutti gli stati saranno chiamati ad esprimersi per il candidato anti-Obama. Certo, tutto può succedere, anche che Santorum strappi questi due stati e poi soccomba la settimana successiva, che è quella che conta. In ogni caso, sembra delinearsi per lui una strada che lo porterà ad essere o il candidato per la Casa Bianca o il vice o ancora una figura di sostegno nella campagna presidenziale di chi otterrà la nomination.
Sarebbe la prima volta di un italo-americano e ormai è il paladino dei Tea Party e delle famiglie della middle class americane. Lo stesso partito dovrà farci i conti, dopo avere colpevolmente snobbato una certa Sarah Palin.