Alla fine, anche il governo tecnico di Lukas Papademos non ce l’ha fatta. Non è riuscito a reggere la pressione fortissima della piazza, che solo domenica sera si era scatenata in manifestazioni di violenza, come non si vedevano da moltissimo tempo qui ad Atene. Palazzi, uffici, locali, cinema intorno al Parlamento sono stati dati alle fiamme, mentre i deputati discutevano e poi approvavano il nuovo piano di austerità imposto da Bruxelles in cambio dei nuovi aiuti. Migliaia di greci sono scese in piazza a gridare la loro rabbia contro le istituzioni, ree di non comprendere il livello di disperazione a cui la popolazione è giunta.
Gli slogan erano certamente contro il governo, i partiti, il Parlamento tutto. E lo stesso i cartelli e i cori di Piazza Syntagma. Ma ce n’erano pure, anzi, forse, soprattutto, per l’Europa e la Germania. La Merkel era l’obiettivo straniero più dileggiato, mentre il fumo dei petardi, delle bombe carta entrava a un certo punto fin tra i banchi del Parlamento, facendo comprendere agli oltre 270 deputati presenti quanto stesse accadendo fuori.
In serata, l’annuncio: il piano del governo è stato approvato. Papademos aveva già condannato in Aula le violenze, sostenendo che esse non possono avere posto in una democrazia. Ma il clima anche nel Palazzo era piuttosto plumbeo. 43 deputati sono stati espulsi dai loro partiti di appartenenza per non avere votato le misure; trattasi di 22 socialisti e 21 conservatori. Anche questo è un gesto frutto della disperazione politica in cui è finita la Grecia. La destra radicale del Laos, che pure sostiene il governo tecnico, non se l’è sentita e non ha votato i 3 articoli imposti dalla Troika, espellendo a sua volta il sua ministro che, al contrario, quelle misure le ha votate.
Ma le violenze e le urla della gente comune hanno lasciato il segno. Non solo in tutta Europa hanno fatto il giro le immagini di un’Atene a ferro e fuoco, ma quelle scene sono risuonate come un cattivo presagio per quanto potrebbe presto accadere altrove, perché un’Europa unita in queste condizioni, con bandiere bruciate e gesti esasperati, non va da nessuna parte. Un assaggio di ciò che attende la politica ellenica forse lo si è avuto proprio durante le devastazioni di domenica. A un certo punto, nel pomeriggio, sono apparsi i cosiddetti “black bloc”, che però qui non vengono definiti così. In passamontagna nero e spranghe hanno distrutto o cercato di farlo tutto quello che si frapponeva loro davanti. E la gente applaudiva, anche quella non invasata. Poi sono arrivati i militanti anarchici e dell’estrema sinistra e al loro passaggio, gli altri manifestanti applaudono. E poi ancora, scorrevano i sostenitori dell’estrema destra e come avrete capito, tutti applaudivano ancora.
Non importa che tu sia rosso o nero, l’importante è che ti batti contro l’Europa e quello che viene ormai percepito come un governo fantoccio, quello di Atene. Non è un dettaglio da poco. Perché ieri, in tarda mattinata, a poche ore dall’approvazione delle odiate misure, il portavoce dell’esecutivo, Pantelis Kapsis, ha annunciato il voto anticipato. La Grecia tornerà alle urne ad aprile, ad appena due anni e mezzo di distanza dalle ultime elezioni. Ma sembra un mondo fa.
E il test di aprile sarà importantissimo per verificare il trend verso cui si potrebbero indirizzare anche gli altri Paesi europei travolti dalla crisi finanziaria. Fino a qualche giorno fa, i sondaggi davano in vantaggio il centrodestra di Nea Dimokratia, guidato da Antonis Samaras. Tuttavia, ciò non significa che non ci possa essere spazio per un’impennata dei consensi delle formazioni anti-europeiste e anti-sistema.
A scrutare la piazza, diremmo che le liste più radicali di una e dell’altra parte sarebbero destinate a gran successo. Ma non è detto che la piazza corrisponda esattamente ai desideri e ai pensieri della maggioranza. Ma se questo è senz’altro vero, non meno lo è il fatto che anche i due partiti più grandi, i socialisti del Pasok e i conservatori di Nuova Democrazia faranno campagna elettorale contro le imposizioni di Bruxelles.
Il centrodestra ha già parlato di misure da ridiscutere dopo le elezioni. Un segnale lanciato ai greci, dopo che in questi ultimi due anni sciagurati, i socialisti sono stati percepiti come proni ai voleri dell’Europa e arrendevoli verso i partner tedeschi.
La verità è che chiunque ragioni in Europa (non gli Eurocrati) guarda alla Grecia con forte angoscia, perché la culla della civiltà occidentale si sta trasformando velocemente in una bara della costruzione europea. Comunque la si veda questa situazione, sembra certissimo che quello di domenica è stato l’ultimo voto del Parlamento di Atene in favore dell’adozione di misure di austerità. La UE sa di non potere chiedere di più, ma allo stesso tempo è altrettanto certo che le misure approvate saranno insufficienti a risanare i conti, visto che per una spesa tagliata o un’imposta innalzata sta corrispondendo un crollo del pil, che annulla parte dei sacrifici imposti. Forse le elezioni arrivano al momento giusto, perché nei prossimi due mesi potranno funzionare da valvola di sfogo della forte disperazione nazionale. Anche se l’incognita dei risultati dovrebbe farci rimanere tutt’altro che tranquilli.