Primarie travolgono PD a Genova e PDL diviso su Passera

Il Partito Democratico ha perso le sue stesse primarie a Genova. Non è certo la prima volta e quasi non fa notizia. E, invece, si tratta dell’ennesimo flop clamoroso in una delle città più grandi d’Italia. Come lo scorso anno era accaduto, tra gli altri, anche a Milano e Napoli, con Pisapia e De Magistris a soffiare la poltrona di candidato sindaco agli uomini del PD, anche ieri il candidato di Sinistra e Libertà, Marco Doria, ha sbaragliato la strada alle due donne del partito di Bersani, il sindaco uscente Marta Vincenzi e il parlamentare Roberta Pinotti, supportata dall’apparato del partito. Alla fine, la vittoria di Doria è stata netta e i consensi tra le due donne si sono quasi equamente suddivisi.

In particolare, Marco Doria ha ottenuto il 46% dei voti, staccando di gran lunga la Vincenzi, rimasta al palo con il 27,5% e solo terza è arrivata la candidata dell’estabilishment Pinotti, ferma a un fiacco 26%. Eppure, sembrava che la partita fosse tra le due donne, che hanno tentato di attirare l’elettorato con una classica campagna all’americana, ma forse un pò troppo povera di contenuti e nuove idee, limitandosi a slogan poco credibili, dato che la città di Genova è saldamente governata dal centrosinistra da molti anni, essendo una roccaforte “rossa”.

A dire il vero, Doria sembrava persino essere destinato al ruolo di outsider, da quando aveva promesso di alzare le tasse. E, invece, ecco che per l’ennesima volta incombe l’ombra della sconfitta sulla leadership di Pierluigi Bersani, che sembra ormai essere l’opposto di Re Mida, nel senso che qualsiasi cosa egli tocchi diventa un boomerang. Ancora una volta, il PD è costretto a cedere la poltrona del candidato sindaco a quelli che nel gergo politico vengono definiti “partiti minori”, che di volta in volta sono o i dipietristi o i vendoliani post-comunisti. Ennesimo allarme per un partito che si trova a sostenere un corso politico che molto probabilmente non è in grado di reggere e la cui leadership è apertamente e ampiamente messa in discussione dalla base.

Ma se il PD piange, il PDL certamente non ride. Sarebbero tanti i motivi per essere tristi nel mai nato partito dell’ex premier Berlusconi. Dopo la caduta del governo a novembre, con il venire meno della premiership di Re Silvio, si sono evidenziati nettamente tutti i difetti di questa armata brancaleone, che in grossa parte viene tenuta insieme da un bel nulla.

La questione tra le questioni riguarda la candidatura a premier del partito nel 2013. Da tempo sappiamo che Berlusconi si limiterà a fare da padre nobile del centrodestra, non volendo più correre alle prossime elezioni politiche. Al suo posto, ha già investito ufficiosamente Angelino Alfano, già segretario del partito da quasi 8 mesi, sebbene tutti tengano a specificare, Alfano per primo, che saranno solo le primarie a decidere chi debba correre per la premiership.

Il segretario non ha ancora sciolto la riserva. Strategia, certo, anche perché non vuole ancora dare l’immagine ai suoi di essere di parte, ma mira a consolidare attorno a lui l’unità del partito, pur senza riuscirvi. Ma ci sono questioni reali, come la verifica del consenso del PDL, se sia cioè in grado a rimontare i sondaggi, sperando così in una vittoria. Cosa alla portata del centrodestra, ma fin quando alla guida c’era Berlusconi. E Alfano non è Berlusconi.

Ma che non tutti apprezzino la sua discesa in campo per le primarie nel 2013 lo dimostra anche l’ostracismo nei suoi confronti da parte della cerchia centrista interna al partito, in particolare, di Roberto Formigoni, governatore della Lombardia. Da tempo si conoscono le sue aspirazioni a candidato premier, ma sconta il no di Berlusconi, che gli ha preferito il giovane rampollo siciliano.

Ed ecco che dal cilindro il governatore esce fuori un’idea tesa a spaccare il PDL: candidare l’attuale ministro allo Sviluppo, Corrado Passera, alle primarie. “Se lo volesse, credo che nessuno potrebbe impedire a Passera di candidarsi alle primarie”, ha dichiarato Formigoni. Dal partito c’è stato un misto di rifiuto della proposta e di semi-indifferenza. Se il capogruppo al Senato, Maurizio Gasparri, ironizza, sostenendo che Passera potrebbe candidarsi alle primarie, ma del centrosinistra, il coordinatore Fabrizio Cicchitto afferma che il PDL non ha bisogni di papi stranieri, come il PD.

In effetti, la proposta di Formigoni rischia di essere per lui un auto-goal, perché lanciare il nome di un uomo esterno al partito non giova ad alienargli le simpatie necessarie, per raccogliere quel minimo di consenso utile a sostenerlo nella sua ambizione alle primarie.

Certo, era stato lo stesso Berlusconi, a porte chiuse, a parlare di Passera come possibile premier nel 2013, alla guida di una nuova fase di riforme, che possano fare uscire l’Italia definitivamente dalle secche della crisi. Ma lo scenario disegnato dall’ex premier era totalmente diverso e la stessa figura del ministro sarebbe una sorta di garanzia super-partes contro una possibile sconfitta del centro-destra. Ma così forse non sembra accettabile. Per molti del PDL avrebbe tutto il sapore di un commissariamento.

 

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