Questa mattina, a Roma, si è spento l’ex presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, all’età di 93 anni. La notizia è stata immediatamente diffusa su Twitter e si apprende che per l’ex capo dello Stato ci saranno funerali privati domani nella chiesa di Santa Maria di Trastevere, ma è stata allestita una camera ardente nella chiesa di Sant’Egidio, sempre a Roma, per consentire a quanti volessero dargli l’estremo saluto, di farlo dalle ore 10.30 alle ore 13.30 di domani. Nato a Novara nel 1918, si laureò in Giurisprudenza nel 1941 e si sposò con Maria Inzitari, dalla quale ebbe una figlia, Marianna.
Sin dalle prime elezioni democratiche repubblicane, nel 1948, entrò in Parlamento, tra le fila della Democrazia Cristiana, anche se in tutti questi anni di militanza politica non ricoprì mai l’incarico di presidente del consiglio, che sfiorò soltanto nel 1987, quando l’allora capo dello stato Francesco Cossiga gli affidò l’incarico di formare il governo, ma prendendo atto dell’impossibilità, dovette rinunciare.
Inaspettatamente, il 24 maggio del 1992, all’indomani della strage in cui morì il giudice palermitano Giovanni Falcone, in un clima plumbeo e sotto il peso dell’imminente crollo della Prima Repubblica, Scalfaro venne eletto capo dello Stato. Da lì, inizia il suo controverso settennato, che lo vide in contrapposizione netta e frontale con il centro-destra e il suo leader, Silvio Berlusconi. Sono almeno due gli episodi a cui un giorno gli storici saranno chiamati a dare risposte. Il primo riguarda l’avviso di garanzia che l’allora premier Berlusconi ricevette nel novembre del 1994, con l’accusa di essere connivente con la mafia, proprio mentre si trovava a presiedere a Napoli un vertice sulla criminalità organizzata.
Scalfaro aveva ricevuto preventivamente la notizia dell’invio dell’avviso da parte dell’ex magistrato di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, ma acconsentì che gli fosse inviato anche durante un consesso internazionale.
Un mese dopo, quando la Lega Nord mollò il governo, Scalfaro si prodigò per formare un nuovo esecutivo tecnico, affidato all’allora ministro del Tesoro, Lamberto Dini, ma che fu sostenuto da una maggioranza di centro-sinistra, dando vita a un ribaltone politico contro la maggioranza che aveva vinto le elezioni pochi mesi prima.
Dopo la presidenza, la sua lotta politica anti-berlusconiana continuò durante il governo Berlusconi tra il 2001 e il 2006, partecipando ai cosiddetti girotondini e facendo campagna elettorale contro il referendum costituzionale del 2006, che bocciò, poi, la riforma della Carta fondamentale, voluta proprio dal centro-destra.
Alla ribalta anche con il ritorno di Romano Prodi al governo (2006-2008), quando più volte da senatore a vita, il suo voto fu determinante per mantenere in vita un esecutivo che al Senato non godeva della maggioranza.
Oggi, quindi, scompare una delle figure più controverse e che più hanno diviso l’opinione pubblica nella Seconda Repubblica.