Al forum sull’economia, a Davos, in Svizzera, il commissario per gli affari monetari, Olli Rehn, ha affermato che se non oggi, entro il 31 gennaio si avrà un accordo in Grecia tra governo e creditori, a proposito del cambio tra titoli in possesso di questi ultimi e quelli nuovi che saranno emessi da Atene per dare vita a una ristrutturazione del debito.
Secondo alcune indiscrezioni, restano da coprire tra 12 e 15 miliardi di euro, per giungere all’obiettivo di un rapporto tra debito e pil al 120% entro il 2020.
Dunque, i creditori avrebbero accettato una forte svalutazione dei bond in loro possesso e l’idea di un rendimento al di sotto del 4%, come richiesto dall’Unione Europea, che aveva bocciato il precedente accordo tra governo e Iif.
Tuttavia, non tutti i nodi sarebbero ancora stati risolti. Uno di questi, ad esempio, riguarda i titoli greci in possesso della BCE. Sappiamo, infatti, che Francoforte nei mesi scorsi ha acquistato bond ellenici sul mercato secondario, per cercare di allentare la speculazione su di essi. Ma ora ci sono due idee opposte all’interno del board su come contabilizzare questi titoli alla scadenza.
C’è chi sostiene, ad esempio, che la BCE dovrebbe svalutarli, in linea con quanto fatto anche dagli altri creditori, mentre una seconda linea di pensiero sostiene che bisognerebbe farseli rimborsare al valore nominale, sia per non incorrere in perdite, sia anche perché altrimenti si tratterebbe di un aiuto indiretto al governo di Atene e di un cattivo precedente nell’Eurozona.
Quest’ultima tesi è condivisa dal ministro dell’economia spagnolo, Luis de Guindos, ma resta il fatto che così la BCE sarebbe l’unico creditore a non subire perdite, contrariamente agli altri privati, anche se la sua era solo un’operazione di salvataggio.