I dati sul quarto trimestre del 2011 indicano una situazione in chiaroscuro per la Cina, anche se i dati possono ancora essere oggetto di controverse interpretazioni, tutte potenzialmente valide. Il primo dato riguarda la comunicazione della People’s Bank of China, la banca centrale di Pechino, che annuncia un calo del valore delle riserve durante gli ultimi tre mesi del 2011, passando da 3.202 miliardi di dollari di fine settembre a 3.181 miliardi di fine dicembre.
Il calo è stato di 21 miliardi, dovuto alla crescita di 52 miliardi a ottobre e al seguente crollo di 73 miliardi di novembre. Non accadeva dalla crisi finanziaria asiatica del 1998 e rappresenta una realtà nuova per il gigante economico.
In termini annui, tuttavia, si chiude comunque con un incremento dai 2.850 miliardi di fine 2010 ai 3.181 della fine 2011. Ma a che cosa sarebbe dovuto questo decremento? Si potrebbe sostenere che sia frutto della politica di moderata rivalutazione dello yuan, portata avanti da Pechino, quale concessione verso l’Occidente.
E ciò potrebbe essere vero, come conferma anche il dato sull’inflazione, calata a dicembre al 4,1%; lontana dal picco del 6,5% raggiunto a luglio e merito sia dell’aumento dei tassi da parte della banca centrale, che della rivalutazione molto parziale dello yuan.
Ma la spiegazione alternativa o complementare a entrambi i fenomeni sarebbe un pò meno tranquilla. Sarebbe in corso un calo delle esportazioni, per effetto della minore domanda dall’estero, a sua volta conseguenza della crisi che ha colpito Europa e USA. Allo stesso tempo, il crollo dei prezzi immobiliari e i deboli consumi privati interni avrebbero contribuito al rallentamento della crescita dei prezzi.