Il 20 gennaio sarà varato un decreto legge, che conterrà norme per la liberalizzazione di alcuni mercati, e tra questi dovrebbero rientrare forse fin da subito sia i tassisti che le farmacie.
E tra i farmacisti la tensione è alta, visto che il decreto potrebbe liberalizzare molto il mercato, aprendolo a una maggiore concorrenza. Le norme attuali prevedono l’apertura di una farmacia ogni 4 mila abitanti nei Comuni con popolazione superiore ai 12.500 abitanti. Per i Comuni con popolazione inferiore, il rapporto è previsto in una farmacia ogni 5 mila abitanti.
Solo grazie ai “resti”, è mediamente possibile aprire su un numero di abitanti inferiore, ma resta il sistema chiuso. Le licenze sono attribuite per concorso pubblico delle regioni, tenute in teoria a bandirlo ogni due anni, ma i tempi di fatto sono molto più lunghe, con attese anche oltre il decennio.
Una singola licenza può essere rivenduta a un prezzo di 3-4 milioni di euro, potendo anche essere ereditata da un genitore. Il valore alto si giustifica con il fatturato medio annuo di 1,5 milioni di euro per ciascuna farmacia. Sono 50 mila i farmacisti che operano nei 18 mila punti vendita, di cui 16.500 sono privati e 1.500 sono comunali. Ma tra di loro, solo 17-18 mila sono titolari.
Adesso, i para-farmacisti hanno chiesto al governo di fare scendere il rapporto a una farmacia ogni 2500 abitanti e di liberalizzare la vendita dei farmaci di fascia C. Questo consentirebbe l’apertura di nuove 7000 farmacie, creando circa 30 mila posti di lavoro. Federfarma si oppone e chiede che non si scenda oltre i 3.500 abitanti e replica alle accuse di ereditarietà della licenza, spiegando che questi casi non sarebbero superiori al 20% del totale.
Si preannuncia una lotta durissima tra le corporazioni e il governo. Quest’ultimo pare orientato ad accogliere le istanze liberalizzatrici.