Tre uomini sono stati uccisi in Corea del Nord mentre tentavano di varcare il confine con la Cina. Secondo le ricostruzioni di un noto attivista per i diritti umani, si tratterebbe di tre persone sulla quarantina, molto presumibilmente contadini, che avrebbero tentato di riparare i Cina per sfuggire alla fame e alla forte repressione delle libertà. I tre uomini sarebbero stati uccisi a ridosso del fiume Yolu, mentre i loro corpi sarebbero stati rimossi dalle guardie di frontiera, senza lasciare traccia, tra i ghiacci. La notizia non è insolita da queste parti, ma dopo che i riflettori sono stati accesi sulla Corea del Nord, in seguito alla morte del “Caro leader” e al passaggio di potere al figlio, essa non può suscitare apprensione e inquietudine tra gli osservatori internazionali.
A dire il vero, infatti, sono numerosi i casi di fuga clandestina verso la Cina, soprattutto negli ultimi anni, per il fatto che i confini sono considerati più facili da attraversare. La fuga avviene spesso a piedi, ma le guardie frontaliere chiudono spesso un occhio in cambio di denaro. E le stesse uccisioni non sarebbero frequenti, per cui si sospetta che questa tragedia sia stata il frutto di un segnale mandato dal nuovo presidente: chi scappa, sarà ucciso. Non solo. Il nuovo presidente Kim Jong-un vorrebbe dimostrare al suo Paese di tenere il potere con ferocia e di avere in mano la situazione.
Nessuna speranza di un nuovo corso, dopo la morte di Kim Jong-il. Lo stesso presidente della Corea del Sud, Lee Myung Bak, si tiene pronto per qualsiasi eventualità, dopo avere invitato il Nord a una collaborazione, in tema di politica nucleare. Ma l’uccisione dei tre contadini in fuga pone l’accento sul tema della fame, specie nei villaggi del Nord, che è stata negli ultimi anni esacerbata proprio dalla politica di chiusura al mondo di Jong-il, sotto la cui presidenza sono morti per carestia due milioni di persone, mentre altre 300 mila sono state internate in campi di sterminio.
Infatti, dopo la politica muscolare contro Seul, i sudcoreani hanno chiuso i rubinetti degli aiuti alimentari, da cui dipendeva e tutt’ora dipende l’economia nordcoreana. Lo stesso venir meno degli aiuti da Russia e Cina ha contribuito al disastro di Pyongyang.