A undici giorni dalla morte del “Caro leader” Kim Jong-il, la Corea del Nord si stringe intorno alla bara del suo defunto presidente, che l’ha governata con la spada e il fuoco per 17 anni, dalla morte del padre Kim Il-Sung, fondatore della Corea di oggi, nonché leader indiscusso del comunismo nello stato asiatico. E le TV nazionali non possono che trasmettere lo strazio dei cittadini presenti alla cerimonia funebre, rigorosamente schierati ai lati della strada, che porta verso il centro urbano di Pyongyang, dove la bara è stata condotta in limousine nera, avvolta da una bandiera rossa con falce e martello, con sopra deposta una corona di fiori bianchi. Ai bordi delle strade giganteggiano i cartelloni con il volto sorridente dello scomparso leader, mentre dietro la bara ci sono tutti i vertici della Corea che conta e in ordine rigorosamente gerarchico.
C’è il figlio Kim Jong-un, successore del padre e che rappresenta la terza generazione dei Kim a governare il Paese. Chiuso in un cappotto imbottito nero, ma con il capo scoperto, ha seguito tutta la cerimonia molto rabbuiato, così come a partecipare allo strazio pubblico c’erano i gerarchi militari, oltre allo zio di Jong-un e cognato di Jong-il, quel Thaek di cui si era detto che potesse “assistere” il nipote, nei primi anni di presidenza, avendo solo 27 anni.
In termini di propaganda, il successo c’è stato. Il dolore infinito del popolo nordcoreano è stato trasmesso in diretta nazionale e mostrato al mondo dalle poche e rigide immagini ufficiali. Donne e uomini si battono il petto senza contegno alcuno. Anche i militari si abbandonano alla disperazione e questo atteggiamento non solo non viene censurato a Pyongyang per le forze armate, ma anzi viene incoraggiato, perché il non piangere qui potrebbe equivalere al non amare il Caro leader, ergo a non rispettare il dogma del comunismo. Questa è l’equazione mentale dei vertici nordcoreani, questo è ciò che spinge tutti a piangere e a lagnarsi in pubblico.
Eppure, il compianto Kim Jong-il è responsabile di due milioni di morti per carestia, oltre che ad altri 300 mila, che sono stati internati e sterminati nei gulag del Paese. E’ stato uno Stalin dei giorni nostri. Anche per quest’ultimo ci furono scene di pianto collettivo. E’ sempre difficile l’abbandono del padre-padrone.