Si sono presentati con un’intesa minimalista all’alba di oggi i partecipanti alla maratona notturna di dieci ore, che si è conclusa con un delle più gravi spaccature mai avvenute all’interno della UE. Gran Bretagna, Ungheria, Svezia e Repubblica Ceca hanno risposto picche a quanti (Francia e Germania) chiedevano loro di accettare la riforma dei Trattati, con nuove regole per i servizi finanziari. Londra ha alzato le barricate dinnanzi all’idea di una UE meno liberale sulla finanza e alla possibilità di vedersi limitata la propria sovranità nazionale. Lo ha detto senza remore il premier David Cameron ai cronisti: non accetteremo mai che la nostra sovranità possa essere limitata. L’accordo non era presentabile al Parlamento inglese.
E se alla fine Sarkozy se la prende con gli inglesi, che non hanno permesso di firmare un accordo unanime tra tutti gli stati UE, si cerca di fare passare come un successo la non intesa sulla crisi dell’Eurozona.
Si sono riaffermati i principi che sentiamo da mesi come un disco incantato: gli stati dell’Eurozona si impegnano a un maggiore coordinamento sulle politiche fiscali e a introdurre nelle loro costituzioni la regola del pareggio di bilancio. Non si potrà sforare oltre lo 0,5% del pil, sempre che si sia in presenza di un ciclo economico negativo. All’Fmi vanno 200 miliardi da parte dell’Area Euro e gli altri stati UE, al fine di garantire a Washington le risorse necessarie per intervenire in favore dell’Europa, nel caso ce ne fosse bisogno.
Sull’Efsf, il Fondo europeo di salvataggio, si è stabilito che esso debba partire già tra sei mesi e che dovrebbe essere gestito dalla BCE. Il cancelliere tedesco Angela Merkel finge soddisfazione alla fine della prima delle due giornate previste per il vertice, ma è chiaro a tutti che l’accordi di stanotte non rappresenta una svolta per la ricerca di una soluzione credibile alla crisi dell’euro, ma anzi è un passo indietro rispetto alle discussioni timidamente abbozzate nei giorni scorsi.
Il vertice di ieri e oggi a Bruxelles viene ritenuto dagli investitori l’ultima chance che l’Europa ha per salvare se stessa. Il fallimento che è sotto gli occhi di tutti rischia, quindi, di causare un punto di non ritorno della crisi dell’Eurozona.