Che tipo di Natale sarà per Erika De Nardo quello della restituita libertà? La giovane 27enne di Novi Ligure che la sera del 21 febbraio 2001 uccise, in complicità con l’allora fidanzato Omar Favaro, sia la madre che il fratellino di undici anni, ha finito di scontare la sua pena e domani, 5 dicembre, lascerà la comunità di accoglienza della fondazione bresciana Exodus, creata da Don Antonio Mazzi, dove ha trascorso gli ultimi mesi di condanna: 16 anni, ridottisi poi a 10, con un primo sconto di tre anni per effetto dell’indulto, più altri bonus per buona condotta.
Durante la detenzione ha continuato gli studi: aveva appena 16 anni all’epoca del delitto e doveva quindi ancora diplomarsi, come ha fatto nell’estate del 2004; ha poi conseguito la laurea in filosofia con una tesi su “Socrate e la ricerca della verità negli scritti platonici” riportando il massimo dei voti, 110 e lode.
Libera dunque di tornare a casa, nella villetta di Novi Ligure, la stessa in cui avvenne la mattanza dopo che la madre, Susy Cassini, 43 anni, alle 19:30 era rincasata col figlio minore Gianluca, 11 anni, che era andato a prendere dopo una partita di pallacanestro. Ad attenderli in casa Erika e, nascosto in bagno, Omar. 40 coltellate per lei (“Erika, ti perdono“ avrebbe urlato la vittima morendo, secondo la testimonianza di Omar, implorandola di risparmiare il fratello), 57 per il bambino, finito dopo essere riuscito a scappare una prima volta, già ferito, ed essersi rifugiato in bagno, dove la sorella lo raggiunse e tentò prima di affogarlo invano nella vasca per poi completare il misfatto con il coltello da cucina. Il papà Francesco, ingegnere, 44 anni allora, doveva ancora rientrare: pare che il piano contemplasse anche la sua uccisione ma che fu risparmiato in quanto Omar, stanco della strage e ferito ad una mano, cambiò idea: “Se vuoi, uccidilo tu“, avrebbe detto alla fidanzata matricida, lavandosene le mani.
I due giovani assassini telefonarono ai carabinieri e finsero una rapina, ma furono smascherati quasi immediatamente, per le orme delle loro scarpe intrise di sangue che avevano lasciato ovunque, camminando e non correndo come avrebbero fatto se fossero stati in fuga per scampare agli aguzzini, per le loro stesse contraddizioni durante l’interrogatorio e per le “confessioni” carpite loro dalle microspie e telecamere nascoste nel locale dei carabinieri dove, una volta lasciati soli, si confrontarono tra di loro sulle dichiarazioni rese e scherzarono tradendosi ingenuamente, pensando che nessuno li ascoltasse.
Domani Erika torna dal papà, che ha avuto la forza di perdonarla e di non abbandonarla, senza mai mancare negli anni del carcere ad una visita alla figlia. E passeranno il Natale in famiglia, anzi, mezza.