Ieri, il regime di Assad ha giocato l’ultima carta, per evitare che la riunione della Lega Araba di oggi in Marocco la sospenda dall’organizzazione, ma non ci sarebbe niente da fare. La liberazione dei 1280 prigionieri politici, arrestati nel corso di questi sette mesi di manifestazioni di piazza, non avrà alcun effetto sulla decisione della Lega. La Siria sarà di fatto fuori, fin tanto che non adempierà a quanto le viene richiesto ormai da tutto il mondo arabo, oltre che dall’Occidente: lo stop alle violenze e alle repressioni contro i civili. Il regime di Damasco è sempre più solo, vantando solo l’appoggio iraniano, con Teheran che considera la Siria un suo protettorato, tramite il quale estendere la propria forza sul Mediterraneo, portando la sua minaccia ai confini con l’Europa. Ma è la Turchia, più che l’Arabia Saudita, che in queste settimane sta adottando la linea più dura contro Damasco, con il premier Erdogan, che sembra intenzionato a mettere in atto una serie di sanzioni contro lo stato confinante, che potrebbero avere un effetto davvero pesante sul regime siriano.
Se nei giorni scorsi, Ankara aveva annunciato la sospensione delle trivellazioni petrolifere congiunte con Damasco, un business molto caro alla famiglia Assad, sono di ieri le dichiarazioni del ministro dell’Energia turco, Taner Yildiz, il quale ha paventato la possibilità che la Turchia possa interrompere le forniture di energia elettrica, cosa che lascerebbe nel buio la Siria e di fatto porrebbe il regime di Assad in una situazione di sudditanza e di emergenza, che lo indebolirebbe fortemente.
E l’iniziativa, per quanto ancora solo ipotizzata, piace al Segretario di Stato USA, Hillary Clinton, che ha dato il suo sostegno all’azione politica del premier turco. Quest’ultimo ha deciso di accelerare l’azione dura contro Assad, dopo che questa estate aveva chiuso un occhio sugli sconfinamenti dei soldati siriani, a caccia dei profughi in fuga verso la Turchia. Ma l’escalation delle violenze contro la popolazione, nonostante gli appelli reiterati di Ankara alla loro cessazione, nonchè gli assalti all’ambasciata turca, hanno fatto crescere un sentimento anti-Assad all’interno dell’esecutivo turco, che teme oltre tutto anche forti destabilizzazioni a ridosso della propria frontiera.
Per questo, da oggi la Siria sarà molto più sola, come indica anche la non disponibilità delle diplomazie arabe a trattare ancora con Damasco.