Anche dopo le sue dimissioni “a scoppio ritardato” Silvio Berlusconi non ha rinunciato ad esprimersi “a caldo” con toni decisi, come se, nonostante tutto, tenesse ancora il timone della nave: “Siccome non ci sono altre maggioranze possibili, vedo solo le elezioni all’inizio di febbraio” aveva dichiarato, ma dall’interno del suo partito si sta allargando ancora il fronte del dissenso, tanto che la “ribellione” che ha portato al naufragare del governo pare non sia arginata, anzi il contrario. Claudio Scajola, insieme ai suoi “scajoliani”, è molto chiaro nell’esprimere contrarietà a rincorrere il voto e pare stia lavorando alacremente dietro le quinte per cercare di riallacciare delle intese con il terzo polo di Fini e Casini in vista di un possibile governo di centrodestra allargato: “Considerando il calendario non si potrebbe votare prima della fine di febbraio. E restare tre mesi e mezzo senza un governo sarebbe pericolosissimo per l’Italia”.
Sulla stessa lunghezza d’onda si ritrova il sottosegretario Gianfranco Miccichè, leader di Grande Sud, che sostiene l’urgenza di rispondere agli attacchi speculativi di queste ore sui mercati finanziari, evitando di lasciare il paese nell’immediato senza una guida. Anche il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, parla di un “grave danno” per l’Italia in caso di elezioni immediate, e fa appello addirittura allo stesso Berlusconi affinchè si adoperi per una soluzione alternativa.
Arriva poi il commento clamoroso di Beppe Pisanu (nella foto) che si scaglia contro un ritorno anticipato al voto, definendosi “contrario, anzi contrarissimo” ed ipotecando persino la sua stessa candidatura tra le fila del Pdl, nel caso si finisse immediatamente alle urne. Commentando preoccupato gli ultimi tonfi sui mercati finanziari, Pisanu si è lasciato andare ad un commento sconfortato: “Questi sono numeri da default”. Vista l’aria che tira, desta forse meno sorpresa l’apertura proveniente dal vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi, che si dice disposto a considerare la formazione di un governo di “salvezza nazionale”, anche se non è ben chiaro in quali termini: “Se la legge di stabilità venisse approvata entro il fine settimana, già lunedì possono cominciare le consultazioni e a quel punto ci sono due strade: o le elezioni o un governo ampiamente condiviso che però non può essere fatto da transfughi“.
Una cosa è però chiara a tutti, al di là di titoloni montati ad arte dai soliti giornali banalmente faziosi: non è la notizia delle dimissioni del premier ad aver affossato ancora una volta la Borsa, ma la profonda incertezza di un atto “posticipato” che mette l’Italia in un “limbo” sensibile alle peggiori turbolenze dei mercati finanziari. Ciò che urge è quindi una soluzione chiara, qualunque sia, al più presto possibile.