E’ di ieri l’annuncio del premier greco George Papandreou sul referendum che sarà tenuto nel Paese, per verificare se gli elettori accetteranno o meno il nuovo piano di austerità chiesto dalla UE, in cambio dei nuovi aiuti per 130 miliardi di euro.
La notizia è sconvolgente, perchè una probabile bocciatura del piano sarebbe la fine di qualsiasi speranza di salvare la Grecia e al contempo l’Eurozona. Atene, infatti, non potrebbe che uscire dall’euro e tentare per altre vie di far fronte al debito, magari con una politica monetaria molto accomodante e un dracma debole, che avranno l’effetto di una bomba sull’economia ellenica.
L’altra via per Atene sarebbe la dichiarazione immediata di default, dato che senza aiuti la Grecia non avrebbe liquidità oltre l’anno.
Non è un caso che la reazione più stizzita e immediata sia venuta dal ministro finlandese per gli affari europei, Alexander Stubb, che ha definito il referendum annunciato da Papandreou un voto sulla permanenza della Grecia nell’Eurozona.
Ma come si può pensare di fare passare misure chiaramente impopolari, come il taglio di un quinto del numero dei dipendenti pubblici, la messa immediata in mobilità di 30 mila di loro a stipendio ridotto del 40%, un taglio lineare del 20% degli stipendi pubblici, etc.?
E’ chiaro il tentativo del governo socialista di sottrarsi alla morsa stringente delle piazze e dalle proprie responsabilità, scaricandola sui greci. Il guaio è che questa tragedia greca non potrà che avere effetti devastanti su tutta l’Eurozona, anche qualora la Grecia uscisse il giorno stesso del referendum dall’Area Euro. La crisi di sfiducia sui mercati potrebbe travolgere senza freni tutto il Vecchio Continente.