La polemica sui “licenziamenti facili” continua a tener banco nel mondo politico, in particolare cercando di far “scoprire le carte” ad un governo Berlusconi che, al solito, fa pomposi annunci e propaganda serrata sui media, ma non chiarisce esattamente le sue intenzioni. Il noto giuslavorista Pietro Ichino, senatore del Pd, vede di buon occhio una discussione sulla materia, purchè seria, offrendo addirittura una sorta di collaborazione: “Il governo vuole riprendere il mio disegno di legge? (giacente da due anni in Senato, quando si dice che a sinistra non si propone NDR) Se fa sul serio è giusto appoggiarlo. Oggi la metà dei lavoratori non è protetta: ci vogliono nuove garanzie“.
Qualche cauto passo indietro viene invece da Futuro e Libertà, che dopo aver accolto con entusiasmo l’idea di una maggiore flessibilità in uscita, tramite Gianfranco Fini mette le mani avanti su iniziative raffazzonate: “Se, come mi sembra di aver capito, si tende soltanto a favorire la possibilità di licenziare, corriamo il rischio di veder moltiplicare un tasso di disoccupazione che da qualche anno a questa parte sta crescendo”.
Susanna Camusso intanto dà addosso al “nemico” di sempre della sua organizzazione, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, che in una intervista rilasciata al “Corsera” ha proposto di sospendere l’articolo 18 per le piccole imprese (fino a 15 dipendenti) che fanno nuove assunzioni. Una misura contenuta già nel “Patto per l’Italia” siglato da un altro governo a guida Berlusconi, insieme a Cisl e Uil. “E’ roba vecchia, se noi provassimo a dire al ministro qualcosa di dieci anni fa direbbe che siamo antiquati, non aperti al cambiamento e inadeguati. Dove non si riesce togliere i diritti a chi ce l’ha, si cerca di negarli a quelli che verranno dopo e credo sia anche illegittimo“, conclude il segretario generale della Cgil. Altre bordate arrivano da Cesare Damiano, capogruppo Pd in commissione Lavoro della Camera, nonchè ex ministro del Lavoro del governo Prodi, che ricorda le ambiguità del suo successore: “Sacconi e’ un ministro paradossale: dopo aver reintrodotto il lavoro a chiamata e lo staff leasing, forme di lavoro precario cancellate dal governo Prodi, e dopo aver abolito la tutela per le giovani madri dal licenziamento in bianco introdotta dal precedente governo, ora finge una conversione sulla via di Damasco denunciando l’abuso dei contratti a progetto e dei tirocini da lui stesso favoriti”.
Proprio ieri il dibattito sul tema dei licenziamenti si era trasformato in polemica quando la Cgia di Mestre aveva divulgato uno studio illustrante come il tasso di disoccupazione sarebbe andato oltre l’11% se negli anni della crisi economica fosse stato possibile licenziare in modo agevolato. La risposta stizzita di Sacconi era arrivata a stretto giro di posta, una stima definita come “destituita di ogni fondamento”, senza contare la punta di veleno in aggiunta, sottolineando che l’associazione degli artigiani di Mestre è guidata da un “candidato del centrosinistra alla Presidenza della Regione Veneto”.
Una risposta assai insoddisfacente quindi, anche perchè gli studi della Cgia sono generalmente riconosciuti da tutti come affidabili. E di fronte a questo fuoco concentrico, il ministro oggi rincara la dose con un’altra dichiarazione estemporanea ai microfoni di SkyTg24, parlando di un clima che potrebbe portare ad azioni “terroristiche”: “L’Italia ha conosciuto l’anomalia di circa 40 anni di terrorismo. Oggi vedo una conseguenza, dalla violenza verbale a quella spontanea e organizzata, che mi auguro non arrivi ancora anche all’omicidio come è già accaduto, l’ultima volta dieci anni fa con il povero Marco Biagi, nel contesto di una discussione simile a quella di oggi”. L’unico spiraglio lo offre ad Ichino “…idee interessanti simili alle nostre…” conclude.
Idee simili? Chissà, certo è che fino ad oggi il ministro del Welfare non ha fatto che tuonare in modo ideologico contro l’articolo 18, mentre l’Italia ha bisogno di una riforma organica della normativa relativa a parasubordinati e subordinati, dopo anni di uso improprio dei primi e coinvolgimento dei secondi in sofisticati (ma comuni) fenomeni di illeciti passaggi di azienda e quant’altro, il tutto per ingannare le normative esistenti, rendendo tutti precari a prescindere dal contratto di lavoro e truffando anche lo Stato. Incentivare le aziende partendo dalla “coda”, e cioè dal licenziamento, appare alquanto paradossale.
E sulle interruzioni dei rapporti di lavoro per “motivi economici”, non tutti sanno che è almeno dal 1998 che la Cassazione ha validato tra i licenziamenti “giustificati” anche quelli comminati “per far fronte a situazioni economiche sfavorevoli, non occasionali, che incidano in modo decisivo sulla normale attività aziendale” (Cass. 18/11/98, n. 11646). Auguriamoci quindi di non trovarci, come spesso accade, di fronte ad un grande imbroglio che nasconde ben altre intenzioni.