Ha provocato una reazione unanime contraria del mondo sindacale la promessa del governo alla UE nella famosa lettera presentata a Bruxelles mercoledì sul piano per la crescita, di prevedere una maggiore flessibilità per i licenziamenti dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato, nel caso in cui le imprese versino in uno stato di crisi.
L’obiettivo del governo è di attirare investimenti e occupazione, per favorire la crescita e la creazione di nuovi posti di lavoro e di non gravare con la flessibilità solo sui neo-assunti, spesso costretti a contratti di lavoro atipici, instabili e poco duraturi.
Ma i sindacati hanno fatto fronte comune, sebbene siano diversi gli accenti tra le varie sigle. Minacciano lo sciopero anche Cisl, Uil e Ugl, che parlano di attacco al lavoro e invitano il governo a rafforzare gli strumenti degli ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione, che permettono la conservazione del posto di lavoro, nei momenti di crisi, pur senza gravare sull’impresa.
E chiedono anche che l’esecutivo non attui in modo autonomo alcuna riforma, senza consultarsi con le parti, perchè scatterebbe la protesta, che minacciano stavolta anche durante l’orario di lavoro.
Difficile che si possa giungere a una riforma condivisa su un contratto flessibile, pur sempre a tempo indeterminato. I sindacati non sembrano orientati ad accettare di “spalmare” la flessibilità su tutti i lavoratori, preferendo la più comoda via di un precariato sulle spalle dei neo-assunti, che non intacchi i diritti acquisiti dei lavoratori più anziani e iscritti proprio al sindacato stesso.
Ma solo un modello contrattuale unico e flessibile raggiungerebbe l’obiettivo di garantire un posto di lavoro più stabile a tutti i lavoratori, pur in assenza delle rigidità che oggi regolano la materia. Soprattutto, si creerebbero nuovi posti di lavoro e l’Italia potrebbe anche attirare nuovi investimenti dall’estero, oltre che interni.