Sono un nutrito esercito di circa 531 mila persone i cosiddetti “baby pensionati“, ossia coloro che sono andati in pensione con meno di 50 anni di età, provocando una vera voragine dei conti pubblici. Non solo chi ha usufruito del diritto di andare in pensione prima dei 50 anni percepisce il trattamento per un maggiore numero di anni (15,7 anni in più della media), ma ha pagato anche minori contributi.
Lo studio di Confartigianato fornisce dati impietosi e cade proprio nei giorni del dibattito infuocato sull’innalzamento dell’età pensionabile. Il rapporto afferma che le politiche sconsiderate degli anni Settanta e Ottanta, che hanno, ad esempio, permesso a moltissimi lavoratori del pubblico impiego di andare in pensione con soli 15 anni, 6 mesi e un giorno di lavoro, hanno creato un sistema previdenziale iniquo e dalle basi fragili.
Il costo delle baby pensioni ogni anno è di 9,45 miliardi. Moltiplicata tale somma per gli anni in più di loro erogazione, rispetto a un pensionato medio, si arriva a un costo complessivo per lo stato di 148,6 miliardi nel tempo. A questa somma, poi, va aggiunta la minore contribuzione dei baby pensionati del settore privato, pari a un valore complessivo di 14,8 miliardi (per i dipendenti pubblici non si calcola, in quanto i contributi li paga sempre lo stato), portando il costo totale negli anni delle baby pensioni a 163,5 miliardi, pari a 6630 euro a carico di ciascuno dei 24.650.000 lavoratori.
Il 78,6% dei baby pensionati proviene dal pubblico impiego e riceve il trattamento dall’Inpdap, un esercito di oltre 400 mila persone, contro le oltre 100 mila del settore privato (trattamento Inps).
Molto più sbilanciata la presenza al nord, con oltre i due terzi del totale, mentre il sud segue con appena il 20% e il centro chiude con circa il 14-15% del totale dei fortunati vincitori della lotteria-pensioni.