Dovrebbe scattare dal prossimo mese di febbraio il cosiddetto “redditometro“, ossia lo strumento di lotta all’evasione fiscale, basato sull’analisi delle spese effettuate dal contribuente, già sperimentato negli anni Novanta. L’Agenzia delle Entrate già si prepara alla prima fase di sperimentazione, che durerà qualche mese, prima che il nuovo sistema di calcolo verrà messo in atto seriamente.
I controlli riguarderanno potenzialmente oltre 20 milioni di famiglie e saranno effettuati, tenendo presenti 100 voci di spesa, che vanno dagli acquisti di beni immobili, a beni mobili registrati come le automobili, a investimenti mobiliari in bot, azioni, obbligazioni private, etc, al possesso di certificati di deposito, di partecipazioni a fondi, fino a spese più ordinarie, quali l’affitto per uno studente universitario, viaggi, sport, abbonamenti tv, etc.
Insomma, lo “spesometro” scandaglierà in modo impietoso le vite di tutti noi e se dovesse essere accertato un ampio scostamento tra il reddito dichiarato e lo stile di vita che emerge dalle voci di spesa, si andrebbe a un contraddittorio. Il contribuente sarebbe tenuto, cioè, a dare spiegazioni sulla differenza riscontrata. In assenza di una giustificazione ritenuta valida, si andrebbe verso l’accertamento sintetico.
Due punti, quindi, sarebbero essenziali da chiarire, secondo il presidente Befera. Gli accertamenti non sarebbero di massa, ma mirati a scovare le sacche reali di evasione. Quindi, ciò lascia trasparire l’ipotesi che si punterebbe a controllare più la veridicità delle dichiarazioni fiscali di contribuenti da un certo stile di vita.
Dall’altra parte, inoltre, non scatterebbe un accertamento automatico, nel senso che uno scostamento tra reddito e voci di spesa non farebbe scattare in sè una sanzione, ma sarebbe semmai la base da cui partire per un controllo più approfondito.