Il bicchiere sarà mezzo pieno per Pechino, dopo la divulgazione dei dati ieri, che hanno mostrato un lievissimo rallentamento del tasso di inflazione in Cina nel mese di settembre, rispetto al mese precedente. Su base annua, infatti, i prezzi sono cresciuti del 6,1%, contro il 6,2% di agosto e il 6,5% di luglio.
Ma l’effetto più positivo si ha alla produzione, che è poi la fonte futura di inflazione o meno. Lì, i prezzi sono cresciuti del 6,5% su base annua, contro il 7,3% di agosto e un’attesa del 6,8%.
Tuttavia, su base mensile, vi è stato un incremento dei prezzi dello 0,5% su agosto, contro lo 0,3% di agosto su luglio. I dati, quindi, indicano che la politica monetaria maggiormente restrittiva che la banca centrale sta mettendo in atto da un anno, con diversi rialzi dei tassi, starebbe dando i suoi frutti. Ma nello stesso tempo, resta parecchio lieve la discesa dei tassi di inflazione, ancora molto al di sopra del tasso obiettivo di Pechino per il 2011, pari al 4%.
Pertanto, è difficile immaginare che la banca centrale interrompa la sua politica restrittiva, abbassando i tassi. Sarebbe una scelta suicida, in un momento in cui le sue misure iniziano a dare qualche risultato.
La Cina teme che la crescita impetuosa e sostenuta dei prezzi possa portare a disordini sociali e costringere le autorità monetarie a rivalutare lo yuan, il cui cambio è fissato unilateralmente da Pechino. E’, infatti, l’eccessiva liquidità proveniente dal canale estero a fare lievitare i prezzi. Ma rivalutare il tasso di cambio implicherebbe un contraccolpo immediato sulla crescita del Paese, molto legata ancora alle esportazioni.
Per questo, la Cina vorrebbe prendere ancora tempo.